La legge di Bilancio 2024 (legge n. 213/2023) ha previsto che i fringe benefit non concorrono a formare il reddito dei lavoratori entro il limite complessivo di 1.000 euro oppure 2.000 euro se concessi a dipendenti con figli fiscalmente a carico. Tali soglie sono valide per il solo 2024 e si applicano anche alle somme erogate o rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche, per il pagamento dell’affitto della prima casa e degli interessi sul mutuo relativo anch’esso alla prima casa. Ancora nessuna conferma per il 2025 ma è prevista la riforma dei criteri di calcolo. Fringe benefit e regole per il 2024 La legge di Bilancio 2024 (art. 1, comma 16, legge n. 213/2023), limitatamente al solo anno d’imposta 2024, dispone in deroga all’art. 51, comma 3 del TUIR, la non concorrenza alla formazione del reddito, entro il limite complessivo di 1.000 euro, del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti. Il limite è innalzato a 2.000 euro per i lavoratori con figli a carico (art. 12 TUIR). Si rammenta che la disciplina ordinaria prevede la non imponibilità dei fringe benefit concessi ai dipendenti fino al limite di 258,23 euro e che, al superamento di detto limite, il valore concorre interamente alla formazione del reddito del lavoratore, non soltanto l’eccedenza. Con circolare n. 5 del 7 marzo 2024, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcune importanti precisazioni circa la disciplina transitoria prevista per il 2024, precisando in primo luogo che la soglia maggiorata a 2.000 euro non si applica in modo automatico ma i lavoratori che ritengono di averne diritto devono rilasciare un’apposita dichiarazione al datore di lavoro (secondo modalità concordate fra datore di lavoro e lavoratore), indicando il codice fiscale dell’unico figlio o dei figli fiscalmente a carico. Si precisa che la condizione di figlio fiscalmente a carico deve essere verificata con riferimento al periodo d’imposta 2024, appurando il superamento o meno del limite reddituale alla data del 31 dicembre 2024; pertanto, nelle ipotesi in cui il lavoratore abbia già prodotto la dichiarazione di cui sopra, è opportuno verificare il mantenimento delle condizioni per consentire la corretta applicazione del beneficio e, nel caso di perdita dei requisiti, informarne il datore di lavoro affinché proceda recuperando a tassazione i valori corrisposti, in fase di conguaglio di fine anno (o fine rapporto se precedente). Ciò accade, ad esempio, quando il lavoratore ha prodotto una dichiarazione riferita a figli senza reddito e in attesa di un’occupazione, a cui ha fatto seguito l’assunzione con un rapporto di lavoro, anche stagionale, da cui consegue un reddito superiore alle soglie previste dall’art. 12 del TUIR. Nelle ipotesi di applicazione del limite maggiorato, il datore di lavoro è tenuto ad informare le RSU laddove presenti, anche dopo l’erogazione del benefit, purché entro il termine dell’anno di imposta (la precisazione richiama quanto già previsto con la circolare n. 23/E/2023). I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate Anche per il 2024 è stata confermata la facoltà di considerare tra i fringe benefit le somme erogate o rimborsate ai lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, analogamente a quanto previsto per i periodi d’imposta precedente dall’art. 12 del D.L. n. 115/2022 (decreto Aiuti-bis) e dall’art. 40 del D.L. n. 48/2023 (decreto Lavoro). La vera novità per il 2024 consiste, invece, nella possibilità di erogare direttamente o rimborsare al lavoratore anche le somme destinate al pagamento dell’affitto della prima casa o, in caso di proprietà, quelle riferite agli interessi sul mutuo relativo ad essa. Riguardo alla “prima casa”, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la nozione è riconducibile a quella di “abitazione principale” utilizzata per l’applicazione delle detrazioni di cui all’art. 15, comma1, lett. b) (interessi passivi per mutui) e dell’art. 16 (canoni di locazione) del TUIR, ossia quella in cui il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente. L’immobile deve essere ad uso abitativo, posseduto o detenuto sulla base di un titolo idoneo dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, a condizione che ne sostengano effettivamente le spese. Per l’Agenzia, ancorché parte contrattuale sia il coniuge o altro familiare tra quelli di cui all’art. 12 TUIR, fermi restando i limiti citati, si considerano rimborsabili al dipendente sia le spese sostenute per un contratto di affitto, sia quelle relative agli interessi sul mutuo, a condizione che l’immobile locato o su cui grava il mutuo costituisca l’abitazione principale del lavoratore. Per quanto riguarda la locuzione “spese per l’affitto”, l’Agenzia ritiene che sia corretto riferirsi al canone risultante dal contratto di locazione regolarmente registrato e pagato nell’anno. L’Agenzia ha inoltre chiarito che le somme rimborsate dal datore di lavoro non consentono al contribuente di beneficiare delle agevolazioni previste per le medesime spese, quali, ad esempio, la detrazione degli interessi passivi per mutui o dei canoni di locazione; pertanto, la detrazione di oneri e spese sostenute dal contribuente spetta esclusivamente per quelle rimaste effettivamente a suo carico. Tale precisazione è utile affinché il lavoratore presti particolare attenzione agli oneri detraibili, nel momento in cui presenterà la propria dichiarazione dei redditi e, al contempo, impone al datore di lavoro l’acquisizione e la conservazione di idonea documentazione per i successivi controlli. Gli adempimenti comunicativi e documentali Proprio in relazione agli oneri documentali e comunicativi, con la circolare n. 5/E/2024 l’Agenzia ha ribadito che il datore deve acquisire e conservare idonea documentazione comprovante l’utilizzo delle somme rimborsate in maniera coerente con le finalità per le quali sono state erogate; in alternativa, potrà acquisire una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da parte del dipendente, che attesti le stesse circostanze. Con circolare n. 23/E/2023 l’Agenzia delle Entrate aveva già precisato che è necessario conservare la documentazione (anche firmata digitalmente) comprovante l’avvenuta dichiarazione, ai fini di un eventuale controllo da parte degli organi competenti. In merito alle spese relative all’affitto e gli interessi sul mutuo, sebbene l’Amministrazione non abbia specificato gli elementi da documentare, è chiaro che il datore di lavoro deve acquisire i documenti relativi al contratto di locazione o di mutuo a cui sono correlate le spese, la dimora abituale del dipendente presso l’immobile e l’importo pagato. Come già anticipato, l’acquisizione e la conservazione della documentazione corrisponde ad un preciso obbligo del datore di lavoro che deve provvedervi nel rispetto del GDPR 2016/679 e del D.Lgs. n. 196/2003. Il datore può acquisire, in alternativa ai documenti del lavoratore (copia fatture, bonifici, ricevute) una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 che attesti il ricorrere, in capo al medesimo dichiarante, dei presupposti previsti dalla norma e che le somme non siano state oggetto di richiesta di rimborso, totale o parziale, presso il medesimo datore di lavoro e presso altri. Si ricorda che fringe benefit devono entrare nella disponibilità del dipendente nell'esercizio fiscale 2024 comunque non oltre il 12 gennaio 2025 (principio di cassa allargato). Nuovi criteri di valorizzazione dal 2025 Come più volte sottolineato, l’innalzamento dei limiti a 1.000 e 2.000 euro non è strutturale ma si tratta di una deroga prevista per il solo anno 2024, mentre al momento non vi è alcuna certezza sull’estensione della misura anche al prossimo anno. Ciononostante, vale la pena ricordare che il Consiglio dei Ministri del 30 aprile 2024 ha approvato, in esame preliminare, uno schema di decreto legislativo con il quale, in attuazione della legge delega sulla riforma fiscale, intende modificare i regimi IRPEF e IRES. In riferimento al tema che ci occupa e nelle more della conclusione dell’iter che dovrebbe portare alla definitiva approvazione delle novità in esame, dal 1° gennaio 2025 sono previste modifiche ai criteri di valutazione e tassazione dei fringe benefit ceduti dai datori di lavoro ai dipendenti. La riforma interviene sull’art. 51, comma 3, del TUIR, semplificando le modalità di quantificazione dei fringe benefit e ampliando i casi applicabili ma soprattutto riformula l’art. 9, comma 3 del TUIR. Si rammenta che il primo periodo di detto comma prevede che per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. In deroga al principio del valore normale, le novità proposte dispongono che il valore dei beni e dei servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività del datore di lavoro e ceduti ai dipendenti è determinato in base al prezzo mediamente praticato nel medesimo stadio di commercializzazione in cui avviene la cessione dei beni o la prestazione di servizi a favore del lavoratore ovvero, in mancanza, in base al costo sostenuto dal datore di lavoro. In buona sostanza, la normativa attuale si riferisce principalmente ai beni prodotti da aziende manifatturiere e ceduti ai dipendenti, valutati al prezzo di cessione al grossista; la riforma, invece, estende il medesimo criterio di valutazione a tutte le attività economiche, quindi anche alle aziende di servizi, a quelle commerciali al dettaglio e ai professionisti che cedono beni o prestano servizi direttamente ai propri dipendenti. Il criterio introduce, peraltro, una sostanziale uniformità di valutazione assimilando il valore dei beni e servizi forniti ai dipendenti a quello praticato ai clienti, secondo i prezzi applicati nello stesso stadio di commercializzazione. Ovviamente, per garantire la conformità della valutazione ai nuovi criteri, il riferimento ai prezzi applicati dal datore di lavoro deve rispondere a criteri di coerenza nell’individuazione dei beni e servizi offerti ai clienti e ai dipendenti e qualora la comparazione diretta non sia possibile, il datore di lavoro potrà applicare il criterio più favorevole per il dipendente, come quello del costo sostenuto. Non ci resta che attendere i prossimi mesi ed i testi definitivi per avere conferme.