La Corte di Cassazione con la sentenza n. 9588 depositata il 5 aprile 2019, ha ribadito che in caso di contestazione di fatture soggettivamente inesistenti, spetta all’Ufficio l’onere di dimostrare, anche presuntivamente, la fittizietà dell’operazione e l’assenza di buona fede del contribuente. Solo in tal caso quest’ultimo dovrà fornire la prova contraria, cioè di aver adoperato la necessaria diligenza per non essere coinvolto della frode Iva, rimanendo anche all’oscuro dell’illecito comportamento della controparte cartiera. IL FATTO Con un avviso di rettifica l’Ufficio contestava ad una società l’indebita detrazione Iva relativamente a fatture considerate soggettivamente inesistenti in quanto emesse da una società ritenuta una cartiera. In sintesi l’atto fu impugnato dalla contribuente con ricorso accolto in primo grado e decisione confermata in appello, in quanto i giudici ritenevano l’Ufficio decaduto dal potere di accertamento per intervenuta presentazione di condono (art. 50 L. 413/1991) da parte della società. La Cassazione annullava con rinvio la sentenza di secondo grado, giudicando inefficace il condono senza la certezza dell’assenza di detrazioni potenzialmente indebite. Il giudizio riassunto innanzi alla CTR si concludeva con una decisione favorevole all’Ufficio. I giudici ritenevano che la contribuente non avesse dimostrato la legittimità della detrazione Iva operata ed in ogni caso che l’Agenzia avesse fornito riscontri indiziari a conferma della pretesa erariale. Proponeva quindi nuovamente ricorso in Cassazione la società, eccependo in particolare l’illegittimità della sentenza gravata nella parte in cui aveva posto a carico della contribuente l’onere di provare di non aver partecipato al meccanismo fraudolento oggetto della contestazione dell’Ufficio. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente cassando con rinvio la pronuncia d’appello. Ribadendo un principio ormai consolidato in sede di legittimità, la Suprema Corte ha nuovamente precisato che ove siano contestate operazioni soggettivamente inesistenti, è l’Agenzia che ha l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inserisse in un’illecita evasione d’imposta. Dunque l’Ufficio deve dimostrare, anche in via presuntiva, che il contribuente fossa a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, della sostanziale inesistenza della controparte contrattuale. Solo ove tale onere sia assolto sorge in capo al contribuente quello della prova contraria, cioè di dimostrare di aver agito con il massimo della prudenza e diligenza, esigibile da un operatore accorto, al fine di evitare di essere coinvolto in una frode. Tali principi non erano oggettivamente stati rispettati dalla CTR, la quale aveva ritenuto sufficiente la semplice contestazione dell’indebita detrazione Iva per far scattare l’onere probatorio in capo al contribuente. Inoltre i giudici di merito non avevano in alcun modo chiarito quali sarebbero stati i riscontri indiziari che avrebbe fornito l’Ufficio ad attestazione dell’assenza della buona fede della società.