Con l’ordinanza n. 15005 del 15 luglio 2020, la Corte di Cassazione ha ribadito che, nel caso di contestazione di fatture soggettivamente inesistenti, l’Ufficio - oltre alla fittizietà del fornitore - deve dimostrare anche la malafede del contribuente. A tal riguardo non è sufficiente provare che il cedente sia una cartiera, ma occorrono elementi oggettivi e specifici, idonei ad attestare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in una frode carosello. IL FATTO Una S.r.l. impugnava un avviso di accertamento, con il quale l’Ufficio recuperava a tassazione costi indeducibili e indetraibili in relazione alla ricezione di fatture ritenute soggettivamente inesistenti; in sintesi veniva contestata alla società il coinvolgimento in un’operazione fraudolenta (c.d. frode carosello). Il ricorso presentato veniva accolto dalla Ctp. L’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado veniva accolto parzialmente con riferimento alla contestazione ai fini Iva in quanto l’imposta detratta ad avviso dei giudici del gravame, era relativa a fatture non intestate all’effettivo venditore, le cui merci provenivano da soggetti ritenuti evanescenti. Avverso tale pronuncia la società proponeva ricorso per Cassazione, in quanto il giudice d’appello non aveva in alcun modo spiegato sulla base di quali elementi fosse giunto a ritenere che gli acquisiti documentati dalle fatture emesse dalle due società venditrici fossero riconducibili ad operazioni soggettivamente inesistenti realizzate nell’ambito di una c.d. frode carosello e che inoltre non vie era prova della consapevolezza dell’asserita frode da parte della società ricorrente. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto, cassando con rinvio, il ricorso della società. La Suprema Corte innanzitutto richiama il consolidato orientamento di legittimità relativa all’onere della prova in capo all’Agenzia delle Entrate con riferimento alla consapevolezza del contribuente sulla fittizietà delle operazioni in base ad elementi oggettivi e specifici ( Cass. 9851/2018, Cass. 27555/2018, 27566/2018). Nella specie, proseguono i giudici di legittimità, la CTR si era limitata a fare riferimento per relationem all’avviso di accertamento affermando da un lato che i soggetti che avevano emesso fatture fossero evanescenti sospetti o dediti ad altre attività e dall’altro che la società avrebbe dovuto essere consapevole della frode trattando con soggetti siffatti. Ma il giudice di appello non aveva spiegato anche alla luce della documentazione prodotta dalla ricorrente, sulla base di quali elementi indiziari avesse ritenuto che i fornitori fossero delle cartiere che la ricorrente fosse stata consapevole della frode iva perpetrata o che non avesse tenuto il contegno richiesto ad un operatore diligente. La motivazione dunque veniva ritenuta gravemente insufficiente.