La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16659 del 4 agosto 2020, ha precisato che il giudicato esterno spiega i suoi effetti anche su altri periodi d’imposta solo se si basa su presupposti di fatto identici e comuni alle diverse annualità. Inoltre è stato statuito che per applicare la presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci, è necessario un preventivo accertamento dell’esistenza degli stessi in capo alla società. Da ultimo la Suprema Corte ha ribadito che le presunzioni per indagini bancarie, in relazione ai versamenti, si applicano a tutti i contribuenti. IL FATTO L’Ufficio notificava ad un contribuente un avviso di accertamento, con il quale recuperava maggior imponibile derivante da due elementi: un maggior reddito da partecipazione ad alcune società a ristretta base azionaria e l’assenza di giustificazione di alcuni movimenti bancari sul proprio c/c personale. L’atto veniva impugnato e la CTP rigettava il ricorso. La decisione era ribaltata in appello atteso che la CTR, verificato che l’intera tesi erariale si basava sugli accertamenti bancari del socio, riteneva da un lato che non vi fosse stato un effettivo accertamento sulla sussistenza dei redditi di partecipazione, dall’altro che la presunzione di cui all’art. 32 Dpr 600/1973 fosse applicabile solo a società e lavoratori autonomi, circostanze che non ricorrevano nella specie. L’Ufficio proponeva ricorso sostenendo: a) che l’accertamento della distribuzione degli utili derivasse dal fatto che i versamenti sul c/c del contribuente fossero riferiti alla società e conseguentemente, presunti i maggiori ricavi dell’impresa, era stata applicata la presunzione di distribuzione verso il socio; b) che l’art. 32 suindicato si applica a tutti i contribuenti e nella specie, trattandosi di persona fisica non lavoratore autonomo, erano stati presi in considerazione solo i versamenti e non i prelevamenti. Si costituiva il contribuente eccependo il giudicato esterno di altra pronuncia. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso dell’Ufficio cassando con rinvio la sentenza di appello. Quanto alla preliminare eccezione del contribuente, la Suprema Corte ha ricordato che il giudicato che ha riguardato un determinato periodo d’imposta fa stato per i tributi dello stesso tipo per gli anni successivi, solo per gli elementi fattuali che sono identici ed abbiano quindi valore condizionante inderogabile: quindi se il giudicato si fonda su una situazione di fatto riferita ad una specifica annualità, non può estendere automaticamente i suoi effetti ad un altro periodo di imposta. Quanto alla tesi erariale, l’Ufficio aveva erroneamente utilizzato la presunzione di distribuzione di utili extracontabili, atteso che la stessa presuppone necessariamente un accertamento degli stessi in capo alla società. In sintesi l’Agenzia ha invertito l’ordine logico-giuridico della vicenda: invece di presumere la distribuzione partendo dall’accertamento della loro realizzazione ed occultamento da parte della società e quindi ricavarne un riscontro nelle movimentazioni bancarie riferibili al contribuente, ha desunto illegittimamente la prima circostanza fattuale in base alla seconda. Fondato risultava invece il motivo sulla violazione dell’art. 32 Dpr 600/1973: parte dell’accertamento si fondava infatti sui versamenti del contribuente e ciò non richiedeva ovviamente un necessario e preventivo atto impositivo nei confronti della società. La presunzione legale relativa in questione, come chiarito dalla costante giurisprudenza di legittimità a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale (n. 228/2014), ha valore nei confronti di tutti i contribuenti per quanto riguarda i versamenti, mentre per i prelevamenti sono nei confronti di titolari di rediti d’impresa. Pertanto la CTR aveva errato nell’escluderne l’applicabilità nella specie, senza nemmeno esaminare le contestazioni dell’Ufficio e l’eventuale prova contraria offerta dal contribuente. La sentenza di appello era da riformare quindi solo su tale punto.