Il legale rappresentante di una società risponde del reato di dichiarazione fraudolenta anche per violazione del semplice dovere di vigilanza, ove non dimostri di essere soltanto un "uomo di paglia" e di non aver scientemente accettato detta situazione. La carica di legale rappresentante costituisce infatti il soggetto in una posizione di garanzia rispetto alla trasparenza ed alla correttezza contabile in funzione degli obblighi tributari contemplati dalla legge e gli impone pure di impedire la commissione dei reati, eventualmente commessi dal reale gestore, previsti attraverso un'attenta vigilanza, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 6726 del 12 febbraio 2019. IL FATTO Un contribuente veniva processato per il reato di cui all'art. 8 del d.lgs n. 74/2000 per avere, quale legale rappresentante della società, e in concorso con l'amministratore di fatto, al fine di evadere l'Iva, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse da un Consorzio, di cui era legale rappresentante, per l'anno di imposta 2009, indicato nella dichiarazione annuale del 2010, elementi passivi fittizi, nonchè per il reato di cui all'art. 10-quater del d.lgs n. 74/2000 per avere, nella medesima qualità, effettuato nell'anno 2011, compensazioni di crediti Iva inesistenti per effetto della utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti. Nel ricorso per cassazione, l'imputato argomenta che la falsa fattura emessa dal Consorzio era stata annullata con note di credito e che tale situazione avrebbe dovuto essere valutata per escludere il concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta e ciò in quanto la nota di credito avrebbe prodotto l'effetto di recuperare l'Iva e di far risorgere nella dichiarazione il debito Iva. Peraltro, ad avviso della difesa l'intraneo del reato in questione dovrebbe essere individuato in cui che gestisce di fatto e cioè l'amministratore di fatto della società, mentre al prestanome amministratore di diritto potrebbe essere attribuita una responsabilità per omesso controllo in ragione della posizione di garanzia ex art. 2392 cod. civ. e 40 cod.pen. Risultando l'imputato privo di poteri di ingerenza nell'amministrazione a lui non sarebbe ascrivibile il reato. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. Invero, la consapevole accettazione della carica di amministratore di diritto impone al medesimo il dovere di esercitare i dovuti controlli all'atto della sottoscrizione della dichiarazione fiscale che si avvale della documentazione fiscale fittizia. La condotta materialmente ascritta al legale rappresentante della società, che ha effettivamente presentato le dichiarazioni fiscali fraudolente avvalendosi delle fatture per operazioni inesistenti non è neppure esclusa dalla partecipazione di coloro che - pur essendo estranei e non rivestendo cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione fraudolenta - abbiano, in qualsivoglia modo, partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all'amministratore della società, sottoscrittore della dichiarazione fraudolenta, di avvalersi della documentazione fiscale fittizia. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il legale rappresentante di una società risponde dei reati in materia anche per violazione del semplice dovere di vigilanza, ove non dimostri di essere soltanto un "uomo di paglia" e di non aver scientemente accettato detta situazione. La carica di legale rappresentante, infatti, costituisce il soggetto in una posizione di garanzia rispetto alla trasparenza ed alla correttezza contabile in funzione degli obblighi tributari contemplati dalla legge e gli impone pure di impedire la commissione dei reati, eventualmente commessi dal reale gestore, previsti attraverso un'attenta vigilanza, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino. Nel caso in esame, la Corte d'Appello ha positivamente evidenziato che l'imputato era l'amministratore di diritto sia della società che del Consorzio (nonché di altre società del gruppo), sicchè proprio in ragione di tale carica apicale in entrambe le società (emittente e utilizzatrice delle fatture relative ad operazioni inesistenti) egli era responsabile in aggiunta all'amministratore di fatto, evidenziando come il ruolo di controllo sugli adempimenti di carattere fiscale, tra cui anche di verificare la documentazione fiscale di cui ci si avvale nelle dichiarazioni, compete al medesimo a nulla rilevando la circostanza che la smart card per la firma digitale non fosse in suo possesso, così come irrilevante era la gratuità dell'incarico assunto. Inoltre, la circostanza che le fatture oggetto di contestazione, prima oggetto di nota di credito, erano poi state nuovamente annullate da persona priva di poteri (segretaria amministrativa) tanto da ripristinare la situazione precedente si da far rivivere il credito Iva preesistente e fondato sull'utilizzo delle citate fatture, non valeva a dimostrare l'estraneità alla gestione dell'imputato, legale rappresentante della società emittente e, allo stesso tempo, utilizzatrice delle fatture relative ad operazioni inesistenti che avevano generato un credito Iva non dovuto e che poi era stato portato in compensazione nell'anno 2011. In tale ambito la circostanza che l'art. 2639 cod. civ. equipara al soggetto formalmente investito della qualifica della legale rappresentanza anche colui che esercita in materia continuativa il potere gestorio della società, contrariamente a quanto ritenuto dall'imputato, si pone in linea con la consolidata giurisprudenza secondo cui al legale rappresentante è addebitabile il concorso nel reato a norma degli art. 2932 cod. civ. e 40 comma 2 cod. pen. salvo che dimostri di essere "uomo di paglia" non potendo la sua responsabilità essere esclusa, in forza dei principi sopra ricordati, dalla presenza di un amministratore di fatto. Ne consegue il rigetto del ricorso.