Nella procedura di definizione agevolata delle liti pendenti, vi rientra anche la cartella di pagamento emessa al termine della procedura di liquidazione automatica, di cui all’art. 36 bis, in quanto trattasi del primo atto con il quale è esercitata la pretesa fiscale. Ciò in quanto in via generale l’istituto definitorio risponde all’esigenza di ridurre il volume del contenzioso tributario. A fornire questa importante interpretazione è la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 27271 del 24 ottobre 2019 la quale, anche se riferita alla precedente definizione delle liti pendenti (2011) può estendersi anche a quella in vigore fino al 31 maggio scorso. IL FATTO A seguito della procedura di liquidazione effettuata ai sensi dell’art. 36 bis del Dpr 600/1973, l’agente della riscossione notificava ad una contribuente una cartella di pagamento. La predetta si avvaleva della definizione agevolata di lite tributaria pendente, prevista al tempo dall’art. 39, comma 12 del DL 98/2011, che l’Amministrazione finanziaria rigettava, poiché riteneva il caso non rientrante fra quelli indicati nell’anzidetta norma. Il diniego veniva impugnato innanzi alle Commissioni tributarie competenti, che in entrambi i gradi di giudizio di merito ne respingevano le doglianze, in quanto ritenevano che l’emissione della cartella di pagamento in forza dell’art. 36 bis del Dpr 600/1973, fosse una mera ipotesi di esercizio di potere di controllo formale e, come tale esclusa dalla definizione agevolata. In particolare i giudici di appello, nel caso di specie rilevavano che la natura dell’atto impugnato non fosse impositiva, poiché non preceduta da alcun avviso di accertamento. Avverso detta sentenza, la contribuente proponeva ricorso in Cassazione. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla contribuente. I giudici di legittimità, richiamando la funzione teleologica dell’art. 39 del DL 98/2011, ricordano che la norma era volta a ridurre il numero delle pendenze giudiziarie, in particolare consentendo una rapida definizione di quelle: a) pendenti al 31 dicembre 2011 in qualsiasi grado di giudizio avente ad oggetto avvisi di accertamento od ogni altro atto di imposizione; b) non superiori a 20.000 euro; c) di cui una parte era l’Agenzia delle Entrate, mediante la domanda avanzata dal soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del procedimento con il pagamento delle somme in un’unica soluzione, entro i termini previsti dalla normativa. Per quanto riguarda gli atti impositivi, la Corte conformandosi ad un consolidato orientamento maturato sul punto ha chiarito che vi rientra anche la cartella di pagamento emessa in seguito alla procedura di controllo, effettuata ai sensi dell’art. 36 bis del Dpr 600/1973. La ragione risiede proprio nel fatto che l’atto non rappresenta una mera richiesta di pagamento, ma riveste anche la natura di atto impositivo, in quanto si tratta del primo ed unico atto mediante il quale la pretesa fiscale è esercitata nei confronti del dichiarante. Nonostante la sentenza sia riferita alla versione precedente della definizione delle liti, il principio dovrebbe trovare applicazione anche alla nuova versione (scaduta lo scorso 31/5/2019) in quanto il contenuto delle disposizioni era sostanzialmente analogo. Anche in questa occasione, peraltro, nei vari documenti di prassi l’Agenzia ha ritenuto non definibili le cartelle scaturite dopo la liquidazione ex art 36 bis.