Nel corso dell’esame della legge di conversione, l’art. 90 del decreto Rilancio è stato integrato, estendendo il “diritto” allo smart working ad ulteriori fasce di lavoratori a maggior rischio di contagio, in relazione alle condizioni sanitarie proprie e dei congiunti. Tuttavia, allo stato tali norme perderanno efficacia il 31 luglio prossimo, a meno che non venga prorogata la dichiarazione di emergenza sanitaria. Dopo tale data, si porrà, quindi, l’alternativa tra una gestione del contrasto al contagio attraverso il distanziamento e le norme sulla salute e sicurezza sul lavoro in assenza di smart working, ovvero una immediata e massiccia “contrattualizzazione” dello smart working ai sensi della legislazione ordinaria in materia. Nel frattempo, arrivano le prime pronunce giurisdizionali sullo smart working emergenziale. Lo smart working nel decreto Rilancio Sulla scorta delle precedenti norme emergenziali che hanno individuato – in deroga alla L. 81/17 - lo smart working in assenza di accordo con il lavoratore, quale modalità sostanzialmente ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa (ove compatibile), l’art. 90 del D. L. n. 34/2020 ha disposto che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID–19, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando il rispetto degli obblighi informativi previsti dalla legge 81/17 (nella forma semplificata introdotta dalla normativa emergenziale) e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. Inoltre, fermo restando quanto previsto per i datori di lavoro pubblici dall'articolo 87 del D. L. 18/2020, convertito dalla L. 27/2020, (smart working quale modalità ordinaria della prestazione lavorativa sino al termine dell’emergenza sanitaria), fino al 31 luglio 2020 e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, lo smart working ex lege 81/17 può essere applicato dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei princìpi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali. Ne consegue che – dal termine dell’emergenza sanitaria e fino a un massimo del 31 dicembre 2020 (anche in caso di emergenza sanitaria eccedente tale ultima data) - lo smart working “derogatorio ed emergenziale” non sarà più un diritto dei lavoratori (o, meglio, di alcune categorie di essi), ma una possibilità che resta comunque rimessa alla volontà del datore di lavoro, il quale potrà prescindere dall’accordo con il lavoratore, pur dovendosi rispettare i principi dettati dalla legge del 2017, primo tra tutti il diritto dello smart worker allo stesso trattamento giuridico ed economico riconosciuto al lavoratore che presta servizio nelle sedi aziendali. Modifiche in sede di conversione Nel corso dell’esame della legge di conversione, l’articolo 90 è stato emendato prevedendo che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, il diritto allo smart working è riconosciuto anche, sulla base delle valutazioni dei medici competenti, anche ai lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell'età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità che possono caratterizzare una situazione di maggiore rischiosità accertata dal medico competente: sempre a condizione che tale modalità di espletamento della prestazione sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa. Anche per questa “nuova” categoria di lavoratori, il “diritto” allo smart working – salvo proroghe della dichiarazione di emergenza sanitaria - cesserà il 31 luglio prossimo. Dopo tale data, sulla base della configurazione dell’art. 90, sia i genitori di figli under 14 che le categorie “a rischio” introdotte nella norma in sede di conversione potranno fruire dello smart working: o in via ordinaria nel pieno e totale rispetto delle condizioni dettate dalla L. 81/17 e del conseguente accordo individuale, ovvero sulla base di una autonoma decisione facoltativa del datore di lavoro che decida – fino al 31/12/2020 – di adibire a prestazioni in smart working i propri dipendenti senza accordo individuale e nel rispetto dei (soli) principi dettati dalla citata legge. Ovviamente, a seconda del caso in cui ci si trovi, dovranno conseguentemente variare (per modalità e contenuti) le comunicazioni obbligatorie da inviare al Ministero del Lavoro ed all’INAIL. Rammentiamo, in conclusione, che l’art. 39 del Cura Italia (DL n. 18/2020 convertito con modificazioni nella legge n. 27/2020) dispone che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica, i lavoratori dipendenti disabili o che abbiano un familiare disabile nel proprio nucleo familiare, hanno diritto allo smart working, a condizione che tale modalità sia compatibile con la propria prestazione lavorativa. Il medesimo articolo dispone, poi, che ai dipendenti del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa, è riconosciuta la priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in smart working ai sensi della L. 81/17. Ambedue le disposizioni del citato articolo 38 si applicano anche ai lavoratori immunodepressi o conviventi di persone immunodepresse. Prima giurisprudenza sullo smart working emergenziale Dopo alcuni mesi di lockdown e normativa emergenziale (anche) in tema di smart working, sono giunte all’attenzione dei tribunali del lavoro le prime questioni interpretative in ordine alla portata ed ai limiti dei diritti e delle deroghe sin qui illustrate, oltre che alla definizione della “compatibilità” della prestazione lavorativa individuale con il suo svolgimento in modalità “agile”. Una prima decisione è contenuta in un’ordinanza del 20 giugno scorso del Tribunale di Roma, secondo la quale i dipendenti chiamati a far parte di una task force costituita per fronteggiare il rischio pandemico hanno, sì, diritto a svolgere la prestazione in lavoro agile ma solo nel caso in cui le loro specifiche mansioni possono essere svolte, anche solo in via prevalente, da remoto. Nello specifico, l’ordinanza ha accolto il ricorso d’urgenza di una dipendente di azienda sanitaria, che aveva impugnato il rigetto della sua domanda di assegnazione a prestazione lavorativa in smart working motivata dalla necessità di controllare il figlio disabile e dalla possibilità di svolgere comunque le proprie mansioni da remoto. Il Tribunale ha ritenuto che – nel bilanciamento delle questioni sottese alla vicenda - le esigenze di cura familiare della lavoratrice dovessero comunque prevalere sulle necessità organizzative del servizio sanitario pubblico che l’aveva adibita alla predetta “unità” di contrasto al virus. Di segno apparentemente opposto l’ordinanza emessa dal Tribunale di Mantova sul ricorso d’urgenza del responsabile dell’area tecnica di una società, che il diritto a lavorare in smart working, in quanto genitore di un figlio di 14 anni. Con provvedimento del 26 giugno scorso, Giudice ha respinto la domanda sul presupposto che le mansioni affidate alla responsabilità del lavoratore richiedevano lo svolgimento dell’attività in presenza. Peraltro, nel caso di specie la richiesta del lavoratore non trovava copertura normativa nell’articolo 90 del decreto Rilancio, dal momento che la moglie del ricorrente prestava già la propria prestazione lavorativa in casa, in regime di smart working e, pertanto, non sussisteva l’obbligo del datore di lavoro di concedere tale facoltà anche al secondo genitore. Conclusioni Uno dei pochi effetti positivi (forse l’unico) della pandemia da Covid-19 è stata la “scoperta massiva” della praticabilità e della utilità dello smart working, anche ai fini della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Al riguardo, va premesso che quello che la totalità dei lavoratori in lockdown hanno svolto non è stato smart working, ma una sorta di telelavoro “geneticamente modificato”. Tuttavia, dal prossimo 1° agosto o, al più, dal mese di settembre, il Governo e le parti sociali sono chiamati a provare la propria “maturità”. E dimostrare, quindi, se le istanze sociali, economiche, gestionali, organizzative e, persino, ambientali, che militano a favore di una decisa stabilizzazione e sviluppo dello smart working nell’economia italiana sono state effettivamente colte, tramutando un enorme problema in una opportunità decisiva. Oppure se, al contrario, stiamo per assistere all’ennesima occasione persa per modernizzare il Paese mutare il paradigma ottocentesco del lavoro che ancora pervade non solo la Pubblica Amministrazione ma anche parte del sistema datoriale privato.