La legge n. 58/2019, in sede di conversione del decreto Crescita, ha modificato l’art. 2, commi 1 e 2, D.P.R. n. 322/1998, differendo a regime per i contribuenti “ordinari” (ovverosia per i quali il periodo d’imposta coincide con l’anno solare), dal 30 settembre al 30 novembre di ogni anno, il termine entro cui presentare telematicamente i modelli dichiarativi ai fini delle Imposte sui redditi e dell’IRAP. L’intervento legislativo non ha invero apportato alcuna modifica al successivo comma 7 dell’art. 2, disciplinante la validità delle dichiarazioni presentate entro i 90 giorni successivi alla scadenza ordinaria (dichiarazioni tardive), conseguendone che già con riferimento all’anno d’imposta 2018 (per il quale sono ancora pendenti i termini per l’inoltro della dichiarazione all’Ufficio impositore), il contribuente potrà presentare telematicamente il suo modello dichiarativo ex lege fino al 28 febbraio 2020, ovverosia fino al 28 febbraio del secondo anno successivo a quello a cui tale denuncia dei redditi si riferisce, seppur incorrendo nella irrogazione delle relative sanzioni amministrative per il ritardo, ferma restando la assoluta validità del dichiarativo. Ora, giova rammentare che l’art. 43, D.P.R. n. 600/1973, in materia di termini decadenziali per l’esercizio del potere d’imperio da parte dell’Amministrazione finanziaria, stabilisce che “gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione». Ebbene, leggendo le norme in combinato disposto, se ne deduce de plano che laddove il contribuente optasse per l’inoltro “tardivo” della dichiarazione tra il 32esimo ed il 90esimo giorno successivo al termine ordinario (ovvero tra il 2 gennaio e il 28 febbraio del secondo anno successivo a quello a cui la dichiarazione afferisce), l’Ufficio impositore fruirebbe diun ulteriore anno per poter notificare un avviso di accertamento in rettifica della predetta dichiarazione. Ad esempio Segnatamente, facendo un esempio per l’anno d’imposta 2018, nella prassi verrà a crearsi una situazione di questo tipo: - relativamente ai contribuenti che presenteranno tempestivamente la dichiarazione entro il 30 novembre 2019, oppure “tardivamente” ma entro il 31 dicembre 2019, l’Agenzia delle Entrate potrà notificare l’avviso di accertamento in rettifica entro il termine decadenziale ultimo del 31 dicembre 2024; - per quanto riguarda, invece, i soggetti che provvederanno ad inoltrare il modello dichiarativo “tardivamente” tra il 2 gennaio e il 28 febbraio 2020, l’Ente impositore avrà tempo per notificare ad essi il provvedimento accertativo entro e non oltre il 31 dicembre 2025, nonostante non sussistano differenze giuridiche tra costoro e i contribuenti che avevano “tardivamente” presentato la dichiarazione tra il 1° e il 31 dicembre 2019. Dichiarazione integrativa Situazione identica, ma diametralmente opposta, viene parimenti a crearsi in ordine alla facoltà, per il contribuente, di presentare una dichiarazione integrativa ai sensi del comma 8 dell’art. 2: questi potrà perciò provvedervi entro il quinto od il sesto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, a seconda se, rispettivamente, egli abbia optato per la presentazione “tardiva” mantenendosi entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello a cui la dichiarazione si riferisce, oppure per l’inoltro tra il 2 gennaio ed il 28 febbraio del secondo anno successivo. Alcune considerazioni Volendo spendere delle prime riflessioni sul punto, pare che la norma tacitamente violiquel precetto di cui al comma 3 dell’art. 3, legge n. 212/2000, a mente del quale i termini di decadenza per gli accertamenti d’imposta non possono esser prorogati; dettame che peraltro assurge, al pari di tutte le altre disposizioni statutarie, sì come stabilito dal precedente art. 1, comma 1, a principio generale dell’ordinamento tributario che potrà dalla legge esser derogato solo espressamente e mai tacitamente. De iure condito, una paventata antinomia tra il novellato art. 2, D.P.R. n. 332/1998 (in combinato disposto con l’art. 43, D.P.R. n. 600/1973) da un lato e l’art. 3, comma 3, legge n. 212/2000 dall’altro, non pare di semplice risoluzione, se non tramite oculato intervento nomofilattico da parte dei Giudici di legittimità che, per ovvie ragioni, giammai potrà arrivare prima di un decennio, sine dubio non ricorrendo, per converso, i presupposti per sollevare un incidente di costituzionalità basato sul richiamato precetto statutario, giacché, per consolidata giurisprudenza della Consulta, le norme statutarie non possono essere assunte quale parametro di legittimità costituzionale, in quanto hanno rango di legge ordinaria e pertanto, inevitabilmente, non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale di leggi statali (in termini, ex multis, Corte Costituzionale, ordinanza n. 112/2013). Purtuttavia, non è da escludersi a priori la sussistenza di una qualche ombra di illegittimità costituzionale correlata al parametro di cui all’art. 3 della nostra Carta, sotto un duplice ordine di profili. Innanzitutto, in quanto parrebbe configurarsi una ipotesi di discriminazione costituzionalmente rilevante ed ingiustificata tra contribuenti che, pur trovandosi sullo stesso piano giuridico per aver presentato una dichiarazione “tardiva” ma valida, rimarrebbero assoggettati all’esercizio dell’attività accertativa dell’Erario per periodi immotivatamente difformi, in quanto differenziati semplicemente dal fatto che la dichiarazione sia stata presentata tra il 32esimo ed il 90esimo giorno successivo al termine ordinario, piuttosto che nei 31 giorni alla scadenza regolare. Al contempo, l’applicazione del combinato disposto di cui agli articoli 2, D.P.R. n. 322/1998 e 43, D.P.R. n. 600/1973 nei superiori termini, sembrerebbe integrare anche una ipotesi di irragionevole esercizio della discrezionalità da parte del legislatore, peraltro del tutto “involontario”, giacché in fattispecie la non giustificata disparità tra situazioni giuridicamente identiche esorbita la voluntas legislatoris, essendo indubbio che il legislatore non intendesse ex professo diversificare i termini decadenziali per l’accertamento, ma semplicemente prolungare il tempo a disposizione dei contribuenti per trasmettere i modelli dichiarativi. Un intervento normativo risolutore è vivamente auspicabile.