Il concordato preventivo biennale, istituito e disciplinato dagli articoli 6 e seguenti, D.Lgs. n. 13/2024, come recentemente modificato dal D.Lgs. n. 108/2024 (c.d. decreto correttivo della riforma fiscale), è uno strumento introdotto dal legislatore ai fini della semplificazione degli adempimenti fiscali e l'emersione spontanea della materia imponibile. In particolare, mediante tale strumento i contribuenti di minori dimensioni possono definire, per un biennio, il proprio rapporto tributario in relazione al reddito di impresa e di lavoro autonomo. Possono fruire del concordato i "contribuenti di minori dimensioni, titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo derivante dall'esercizio di arti e professioni" (art. 6, D.Lgs. n. 13/2024). Per potere beneficiare dell’istituto il contribuente deve godere di specifiche condizioni di accesso, dichiarandone espressamente il possesso in fase di sottoscrizione della proposta di adesione, ma al contempo lo stesso è chiamato ad attestare in tale sede anche l’insussistenza di cause ostative per l’accesso all’istituto. CPB: le cause di esclusione A fissare le cause di esclusione dal CPB è l’art. 11 del D.Lgs. n. 13/2024. In particolare, la seconda parte della lettera b-quater) del comma 1 dell’art. 11 prevede che siano escluse dal CPB la società o l'associazione di cui all'art. 5 TUIR che nel primo anno cui si riferisce la proposta di concordato è interessata da modifiche della compagine sociale. In sostanza, in ossequio a quanto disposto dalla richiamata disposizione, ai fini dell’adesione al CPB è necessario appurare se nel primo anno cui si riferisce la proposta, la società o l’associazione che intendano accedere allo strumento di compliance siano state interessate da una qualsiasi modifica della compagine sociale. In fase di prima applicazione dell’istituto, quindi, assumeranno rilievo le variazioni della compagine sociale intervenute nell’anno d’imposta 2024. Modifiche della compagine sociale come causa sia di decadenza che di cessazione L’art. 22, D.Lgs. n. 13/2024 definisce le cause di decadenza dal concordato. In particolare, il comma 1, lettera d) dell’articolo stabilisce che, se le cause di esclusione dal concordato si verificano in costanza del medesimo, divengono cause di decadenza dallo stesso, con l’inevitabile conseguenza che il contribuente decadrà dai benefici previsti dal CPB per entrambi i periodi d’imposta previsti ai fini dell’accordo. Ora, dal combinato disposto della norma da ultimo richiamata e del sopracitato art. 11 dovrebbe discendere che un’eventuale modifica della compagine sociale intervenuta in vigenza del concordato porterebbe inevitabilmente alla decadenza dallo stesso con tutte le conseguenze del caso. Tuttavia, è bene evidenziare che proprio in merito alla suddetta fattispecie una regolamentazione specifica è fissata dall’art. 21 del medesimo decreto, demandata a disciplinare le cause di cessazione dal concordato. In particolare, la norma prevede espressamente che il concordato cessi di avere efficacia a partire dal periodo d'imposta nel quale “la società o l'ente risulta interessato da operazioni di fusione, scissione, conferimento, ovvero, la società o l'associazione di cui all'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è interessata da modifiche della compagine sociale”. Quindi, stante la specifica previsione normativa sopra riportata, in caso di modifiche della compagine sociale intervenute in vigenza del concordato si realizzerà una causa di cessazione e non di decadenza dall’istituto. La differenza, a ben vedere, non è meramente terminologica, in quanto, le conseguenze della decadenza sono decisamente meno favorevoli rispetto a quelle della cessazione. Si ricorda, infatti, che in caso di decadenza il contribuente è comunque tenuto a versare imposte e contributi determinati tenendo conto del reddito e del valore della produzione netta concordati, se maggiori di quelli effettivamente conseguiti. Si evidenzia, inoltre, che ai fini della causa di cessazione in commento, rileveranno non solo le modifiche intervenute nel 2024, come visto nell’ipotesi precedente (ovvero l’esclusione di cui all’art. 11), ma anche quelle intervenute nel 2025. Alla luce di quanto sin qui illustrato emerge che, a seconda del momento in cui la modifica della compagine sociale si verificherà, le conseguenze potranno essere differenti. Infatti, se la modifica della compagine sociale si verifica nell’anno 2024, ma prima che la società abbia aderito al concordato, essa opererà quale causa di esclusione impedendo l’accesso dell’ente collettivo al predetto istituto; se viceversa la modifica si realizza in un momento successivo all’adesione la società cesserà dal predetto istituto. È bene sottolineare che la causa di esclusione/cessazione in commento, in applicazione del dettato testuale dell’art. 11 e dell’art. 21, non sembrerebbe applicabile a qualsiasi società o ente ma si riferirebbe esclusivamente alle società o associazioni di cui all'articolo 5 TUIR (società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice), ovvero quei soggetti per i quali sussiste uno spiccato carattere personalistico della gestione dell’attività. Se così fosse, dunque, la variazione della compagine sociale intervenuta nel 2024 per una S.r.l. non incide sulla possibilità della medesima di accedere al concordato e, di conseguenza, non opererebbe quale causa di cessazione dal medesimo. Inoltre, stante la mancanza di indicazioni preclusive al riguardo, dall’interpretazione letterale delle disposizioni pare emergere che, a rilevare ai fini dell’esclusione/cessazione in commento, siano sia le modifiche della compagine sociale intervenute per atto inter vivos (ingresso di nuovi soci, esercizio del diritto di recesso, esclusione del socio, trasferimento delle quote sociali) sia quelle intervenute mediante successione mortis causa. Se così fosse dunque, oltre alle variazioni della compagine sociale derivanti da atti inter vivos, anche la morte del socio di una S.n.c., ad esempio, realizzerebbe a seconda di quando intervenuta, una causa di esclusione o di cessazione dall’istituto. Appare evidente, alla luce di quanto sin qui illustrato, che seguendo tale interpretazione della norma, un evento involontario ed imprevedibile quale la morte di uno dei soci può avere ai fini del concordato degli effetti significativi e differenziati a seconda del momento nel quale interviene. Tale interpretazione ad oggi però non trova conferma in alcun documento ufficiale, in quanto nessun chiarimento sul punto è rinvenibile in seno alla circolare n. 18/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate. Nel documento di prassi, infatti, l’Agenzia delle Entrate, sebbene fornisca i primi chiarimenti in materia di CPB, nulla dice sull’aspetto da ultimo citato. A ben vedere, al paragrafo 2.4.4 del documento di prassi dedicato proprio alle “operazioni societarie straordinarie e modifica della compagine sociale”, l’amministrazione finanziaria si limita a puntualizzare che ai fini della cessazione di efficacia del concordato “non rileva, invece, l’eventuale modifica della ripartizione delle quote di partecipazione all’interno della medesima compagine sociale”. Considerando l’espressa puntualizzazione testé richiamata sulla modifica della ripartizione delle quote sociali, il fatto che manchi un’analoga precisazione per quanto concerne le variazioni della compagine sociale derivanti dall’eventuale decesso di uno dei soci induce a ritenere che le stesse, differentemente dalle prime, concorrano a determinare una causa di cessazione dal concordato preventivo biennale.