Con l’ordinanza n. 14990 del 15 luglio 2020, la Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento, in tema di imposte sui redditi, in base al quale sulla deducibilità di costi di impresa non registrati, l’onere della prova circa l’esistenza ed inerenza dei componenti negativi del reddito incombe al contribuente, anche mediante elementi presuntivi nonché da elementi di fatto rivenienti da una consulenza quale fonte di convincimento del giudice. IL FATTO L’Ufficio notificava ad un contribuente un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’Iva, con il quale contestava la deducibilità e detraibilità di costi derivanti dall’attività di impresa non registrati. Veniva presentato ricorso che veniva rigettato dalla CTP. La CTR adita, accoglieva le doglianze del contribuente osservando che nell’annualità fiscale in contestazione, il soggetto non avesse annotato ricavi della sua attività di imprenditore edile per un importo rilevante e per i quali invece doveva tenersi conto dei costi relativi a tali ricavi. Detti costi sulla base degli elementi in atti, ed in particolare della ctu espletata andavano decurtati dal reddito accertato. Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione l’Ufficio deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del TUIR (ratione temporis art. 75 quarto comma) poiché la CTR aveva accertato la sussistenza di costi non contabilizzati sulla base di una presunzione semplice. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Ufficio condannandolo alla refusione delle spese di giudizio, liquidate in 10.000 euro. La Suprema Corte innanzitutto conferma che sia pacifica l’omessa registrazione da parte del contribuente dei ricavi di vendita derivanti dalle unità immobiliari costruite dalla propria impresa, ma, nello stesso tempo evidenzia che fin dalla fase preprocessuale, il contribuente avesse allegato che a tali componenti positive del reddito d’impresa corrispondessero i relativi costi di edificazione degli immobili compravenduti, da dedurre dal reddito imponibile. I giudici di legittimità poi rammentano che ai sensi dell’art. 75 quarto comma del TUIR, sempre nella versione ratione temporis, le spese e i costi “neri” possono essere ammessi in deduzione se risultanti da elementi certi e precisi, e che la prova ai fini della loro deducibilità può essere raggiunta anche mediante elementi presuntivi, e non come sostenuto dall’Ufficio sulla base di una presunzione semplice. Del resto, aggiunge la Corte, la certezza e precisione richieste dalla norma non sono declinabili interpretativamente come una regola di esclusione probatoria ma come una regola di giudizio che indica la necessità di un rigore particolare nella valutazione della prova dei costi non contabilizzati ai fini della loro deducibilità ma che non escludono che tale prova possa essere raggiunta anche mediante elementi presuntivi. Nella specie la CTR aveva puntualmente argomentato sugli elementi di fatto rivenienti dalla consulenza asseverata prodotta in primo grado traendo dalla stessa la principale fonte di convincimento e peraltro derivando dalla stessa sul piano logico inferenziale, non solo la congruità ma anche l’effettiva sussistenza dei costi di costruzione sostenuti dal contribuente.