Regolarizzazione a regime per alcune violazioni commesse dalle imprese nel corso dello svolgimento delle attività produttive. Si tratta di un meccanismo di ravvedimento operoso o adempimento spontaneo di carattere sistematico e trasversale, di cui possono fruire gli operatori economici, previsto dal D.Lgs. n. 103/2024 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 167 del 18 luglio 2024), in vigore dal 2 agosto 2024, intitolato alla semplificazione dei controlli delle PA sulle attività produttive. Il nuovo istituto estende a quasi tutti i settori economici una modalità di estinzione di alcune violazioni amministrativi, privilegiando un approccio ripristinatorio (la priorità è la regolarizzazione, non il versamento di quattrini all’erario). Del beneficio si potrà goderne, solo nel rispetto di alcuni parametri. Al vaglio dell’interpretazione è l’articolo 6, D.Lgs. n. 103/2024 del decreto legislativo in commento, rubricato “Violazioni sanabili e casi di non punibilità per errore scusabile”. Per violazioni sanabili si intendono quelle violazioni, che si potrebbe definire reversibili con un adempimento, seppure tardivo, in quanto realizzato solo a seguito dell’ispezione dell’autorità amministrativa competente al controllo sull’attività produttiva. Quali sono le violazioni sanabili L’articolo 6 del citato decreto legislativo non riguarda, però, tutte le violazioni sanabili, ma solo quelle per le violazioni per le quali è prevista l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria non superiore nel massimo a cinquemila euro. Per quanto possano queste violazioni definirsi minori, in relazione all’ammontare della sanzione, la loro incidenza statistica è rilevante. Il primo parametro per l’applicazione del ravvedimento operoso a regime è una soglia edittale, riferita al massimo. Il secondo parametro attiene alla frequenza di fruizione del beneficio. Deve trattarsi dell’accertamento dell’esistenza (di violazioni sanabili) per la prima volta nell’arco del quinquennio. La ricostruzione non è agevole, ma dalla lettera della disposizione risulta che la vicenda ipotizzata sia la seguente: un organo di controllo, per la prima volta nell’arco di un periodo di cinque anni, accerta l’esistenza di violazioni sanabili. In sostanza deve essere riscontrata l’assenza di esistenza di violazioni nel lustro precedente. Il termine di cinque anni definisce anche il momento in cui poter fruire nuovamente del beneficio dell’estinzione per effetto dell’adempimento spontaneo. Il decreto legislativo parla di accertamento dell’esistenza delle violazioni sanabili e, quindi, deve desumersi che la parola dell’organo accertatore sia necessaria e sufficiente ad avviare il procedimento di ravvedimento. Deve desumersi, altresì, che l’impresa, se aderisce all’istituto del ravvedimento operoso, avrà prestato acquiescenza all’accertamento della violazione. Beninteso l’impresa non ha alcun obbligo ad aderire al ravvedimento e potrà agire in sede giurisdizionale impugnando gli atti sanzionatori e argomentando di non aver commesso alcun illecito. Va anche aggiunto che l’omessa fruizione del meccanismo della diffida non comporta alcuna conseguenza negativa nella impugnazione della sanzione irrogata. Peraltro, la PA controllante, appurata la natura della violazione (sanabile), computato l’arco temporale (cinque anni) e riscontrato il presupposto edittale (massimo cinque mila euro), ha l’obbligo di avviare il procedimento teso a sollecitare il ravvedimento spontaneo ed operoso da parte dell’impresa. Qual è la procedura del ravvedimento Questo procedimento si apre con una diffida dal contenuto triplice: 1) porre termine alla violazione; 2) adempiere alle prescrizioni violate; 3) rimuovere le conseguenze dell'illecito amministrativo. La pubblica amministrazione procedente dovrà avere cura di essere analitica e precisa nella descrizione delle condotte da tenere da parte dell’impresa che intende sfruttare l’istituto. Per l’adempimento il decreto legislativo fissa un termine non superiore a venti giorni dalla data della notificazione dell'atto di diffida: ciò significa che la PA controllante potrà fissare un termine inferiore ai 20 giorni, purchè ragionevole, giustificato e che non privi di fattibilità le operazioni del ravvedimento. A proposito del termine per adempiere, il Consiglio di Stato aveva suggerito, ancorché si tratti di violazioni “minori”, di valutare l’introduzione di un più flessibile “termine congruo”, che consenta all’amministrazione controllante di modulare l’ingiunzione alle peculiarità della situazione concreta. Il suggerimento del Consiglio di Stato è stato raccolto solo in parte. In effetti, 20 giorni potrebbero non essere sufficiente in concreto anche alla più diligente delle imprese. Alla fase della diffida, segue l’accertamento dell’ottemperanza e l’estinzione del procedimento sanzionatorio limitatamente alle inosservanze sanate. La norma non lo dice, ma è ovvio che l’amministrazione dovrà formalizzare l’estinzione in un apposito atto conclusivo del procedimento, dal contenuto dichiarativo (accertamento dell’ottemperanza) e dispositivo (estinzione del procedimento). La norma delimita i confini dell’istituto della diffida amministrativa: da un lato vengono fatte salve le conseguenze penali se il fatto contestato costituisce reato; dall’altro lato la disposizione esclude la diffida amministrativa in commento per le violazioni di obblighi o adempimenti che riguardano la tutela della salute, la sicurezza e l'incolumità pubblica e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Nei casi di inottemperanza totale o parziale, peraltro, il procedimento proseguirà per le violazioni e, quindi, per tutte le violazioni o per quelle non coperte dall’ottemperanza. L’articolo 6, comma 2, D.Lgs. n. 103/2024 sollecita l'organo di controllo ad effettuare la contestazione ai sensi dell’articolo 14 della legge quadro sugli illeciti amministrativi (legge n. 689/1981), precisando che i termini concessi per adempiere alla diffida sono sospensivi dei termini di decadenza previsti per la notificazione degli estremi della violazione. Quali sono le sanzioni in caso di inadempimento alla diffida Il comma 3, sempre dell’articolo 6, riporta, poi, una conseguenza sanzionatoria accessoria nei casi di mancato adempimento alle prescrizioni contenute nella diffida oppure nei casi di violazione di obblighi o adempimenti che riguardano la tutela della salute, la sicurezza e l'incolumità pubblica e la sicurezza sui luoghi di lavoro: in questi frangenti scatta revoca del report certificativo di basso rischio, se rilasciato da un organismo di certificazione all'operatore economico. Alla revoca del report certificativo di basso rischio segue la possibilità di eseguire controlli senza moratorie oltre al declassamento reputazionale dell’impresa. Viene, infine, fatta salva la disciplina della sanabilità delle irregolarità formali o delle violazioni di minore gravità vigente in materia agroalimentare (articolo 1, comma 3, del D.L. n. 91/2014). La disposizione in esame (articolo 6, D.Lgs. n. 103/2024), al quinto e ultimo comma, attesta che “in ogni caso il soggetto controllato non è responsabile quando le violazioni sono commesse per errore sul fatto non determinato da colpa”. Questo comma riproduce quanto previsto dall'articolo 3, comma 2, legge n. 689/1981, in materia di elemento soggettivo delle sanzioni amministrative. Il comma 5, pertanto, come osservato dal Consiglio di stato, non ha nessun valore precettivo e poteva essere omesso senza ripercussione alcuna.