Il decreto salva infrazioni (D.L. n. 131/2024) interviene sulla disciplina dei contratti a tempo determinato- diretti ed intermediati- eliminando dal 17 settembre 2024 i limiti della indennità onnicomprensiva ad oggi riconosciuta dalla legge, aderendo forse alle indicazioni della procedura di infrazione con la quale l'Unione europea ha invitato l'Italia a recuperare il corretto recepimento della direttiva 1999/70/CE. La procedura di infrazione La Commissione UE non ha ritenuto le norme che regolano le conseguenze della trasformazione del rapporto a tempo determinato, molto efficaci ai fini della prevenzione e della sufficienza della sanzione, in caso di utilizzo abusivo dei contratti a tempo determinato (INFR n. 2014/4231). Il testo rimette integralmente al giudice il potere di determinare la misura della indennità da riconoscere ai lavoratori. Nello specifico l'Italia è stata censurata - secondo la Commissione - per non aver predisposto dei corretti limiti sanzionatori nel caso di reiterato utilizzo di contratti a tempo determinato, generando in una comparazione tra privato e pubblico effetti a dir poco discriminatori. Come noto nell'ambito della pubblica amministrazione - art. 36 D.Lgs. n. 165/2001 - la sentenza che accerti l'illegittimità del ricorso al contratto a tempo determinato non può determinare nel rispetto dell’art. 97 Cost., come nel settore privato con l'art. 28 D.Lgs. n. 81/2015, la trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La novella del D.L. 131/2024 contiene di fatti e nello specifico due norme distinte negli articoli 11 e 12, relative la prima ai datori di lavoro privati e la seconda al settore pubblico. Nell’ambito pubblico il ricorso al contratto a termine è ben presente, diffuso e reiterato, e fu fatto salvo anche dal decreto Dignità, confermato nel decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023). Si ricorda che nel settore pubblico il rapporto a termine, sia nella versione di rapporto diretto che somministrato, la normativa risulta ancorata tutt’ora alla versione Jobs act, e quindi nella versione ante modifiche del decreto Dignità citato. Posizione, come detto, confermata e meglio regolata nel decreto Lavoro del 2023. Contratti a termine e risarcimenti nel settore pubblico La disposizione sulla quale il decreto legge è intervenuto, per il settore pubblico, è l’art. 36 del D.Lgs n. 165/2001 (TU sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), con il quale si conferma che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori - comprese quelle che pongono limiti ai rapporti a termine, sia diretti che indiretti - non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni, diversamente da quanto accade nel settore privato. La norma è in linea con quanto previsto dall’art. 97 della Costituzione e prevede l’accesso solo per concorso agli impieghi pubblici e la necessaria previa programmazione di qualsiasi assunzione a tempo indeterminato. L’unica sanzione prevista per le violazioni nel settore pubblico rimane il risarcimento del danno che, per come era congegnata la norma originaria, doveva essere provato dal lavoratore secondo le regole generali. La Commissione UE ha rilevato nelle sue censure che la norma italiana non comporta una lettura dissuasiva, dando corso alla suddetta procedura di infrazione. La novella ora introdotta, con cui si prevede che, nel caso di abuso nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti a termine, l’indennizzo sia compreso tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, avuto riguardo alla gravità della violazione, anche in base al numero dei contratti intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto, fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno. Viene quindi incrementato l’importo forfettario e si lascia la possibilità di provare il maggior danno. Un inasprimento del regime sanzionatorio indennitario che si potrebbe ritenere ragionevole, alla luce dell’impossibilità per il dipendente pubblico di ottenere dal giudice la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto. Cosa cambia per i risarcimenti nel settore privato Appare, ai più, ben più grave, se non ingiustificata e inopportuna, la modifica per i datori di lavoro privati introdotta dal decreto all’art. 28 del D.Lgs. n. 81/2015 nell’utilizzo della flessibilità dei rapporti a termine diretti ed anche somministrati, vista in tal caso la disciplina, eccetto alcune discipline, assimilata a quella del Capo III del Testo Unico dei contratti. L’art. 28 del D.Lgs n. 28 /2015 ,nel testo suo originario, prevedeva che il lavoratore, che ottenga in giudizio la conversione di un rapporto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato, ha anche diritto, per il periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto, a un’indennità onnicomprensiva variabile tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità, determinata tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del lavoratore nonché del comportamento e delle condizioni delle parti, indennità che può essere ridotta alla metà in presenza di disposizioni collettive recanti procedure di stabilizzazione. La modifica in pejus, introdotta dal decreto Salva infrazioni, offre ora dal 17 settembre 2024 la possibilità- non remota- per il Giudice di riconoscere un indennizzo anche in misura superiore alle 12 mensilità, qualora il lavoratore dimostri di aver subito un maggior danno e nella abrogazione della norma inerente la possibilità di riduzione rimessa ai contratti collettivi. Questa modifica che si pone in contrasto con le decisioni della Corte costituzionale - a riguardo vedasi pronuncia del 9 novembre 2011, n. 303 e 25 luglio 2014, n. 226 - la quale, con riferimento tanto ai contratti a termine quanto ai licenziamenti, ha ritenuto ragionevole e costituzionalmente compatibile la forfettizzazione del risarcimento, e soprattutto non considera che la sanzione della trasformazione del rapporto è una forte sanzione di per sé dissuasiva. La norma come novellata dell’art. 28 del D.Lgs. n. 81/2015, infatti, non si limita più solo a forfettizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma assicurerebbe a quest'ultimo -limitatamente al settore di lavoro privato- l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato oltre al ristoro del maggior danno ove evidenziato in giudizio. Ciò avrà riverberi su tutti i rapporti a termine, diretti o somministrati, che arriveranno nelle aule dei Giudici del lavoro. I datori di lavoro, in particolare del settore privato, si troveranno nella situazione di valutare seriamente se avvalersi o meno di uno strumento flessibile quali i rapporti a termine, limitando in tal modo le proprie scelte aziendali, e che comunque, visti i numeri reali dell’occupazione in Italia, sono marginali rispetto ai rapporti a tempo indeterminato. Forse il Legislatore italiano è andato oltre i desiderata dell’Europa, e c’è da augurarsi qualche correttivo in sede di conversione del D.L. n. 131/2024.