La circostanza che due o più soggetti siano cointestatari di un conto corrente, o di un conto di deposito titoli, non vuol significare che i due interessati siano anche “comproprietari”. Secondo la Corte di Cassazione, la “cointestazione” rappresenta al più una presunzione di comproprietà, ma non assoluta, bensì relativa ed ammette la prova contraria. In buona sostanza si presume che la giacenza sul conto corrente o sul conto titoli appartenga in parti eguali ai cointestatari, ma è possibile fornire senza alcuna limitazione la prova contraria. Ad esempio Si supponga che la giacenza del conto corrente intestato a due coniugi sia di 500.000 euro, ma uno dei due soggetti sia titolare di un modesto stipendio di 1.800 euro al mese.In tale ipotesi non sarà difficile dimostrare che il conto è stato quasi interamente alimentato dalla rilevante disponibilità economica dell’altro coniuge, essendo in possesso tale soggetto di rilevanti entrate con periodicità mensile.Nel caso in cui si riuscirà a dimostrare che gli apporti di denaro sono stati più o meno equivalenti, la giacenza sarà di “proprietà” di entrambi. La tesi della Cassazione sulla contitolarità del credito Il denaro è un bene fungibile e con il versamento sul conto corrente se ne perde la proprietà che diviene della banca. Il correntista acquisisce, contestualmente al versamento, un diritto di credito verso la banca alla restituzione della giacenza. Secondo la tesi della Suprema Corte, per trasferire la contitolarità del credito vantato verso la banca, in favore di un altro soggetto, non è sufficiente la semplice attività di cointestazione del rapporto di conto corrente, ma è necessario procedere attraverso un contratto di “cessione del credito” vantato dallo stesso correntista. Secondo l’ordinanza della Corte di Cassazione la cointestazione è necessaria per garantire ai cointestatari di operare liberamente sul conto corrente, indipendentemente dalla circostanza che gli stessi siano titolari del credito nei confronti della banca medesima. Il cointestatario non può appropriarsi del denaro depositato sul conto, che non gli appartiene, né può sostenere che la cointestazione lo autorizzi a ciò. L’ordinanza n. 21963/2019 afferma che - affinché tale soggetto possa assumere la qualifica di contitolare del credito senza aver versato nulla, o avendo versato somme di denaro sensibilmente inferiori rispetto all’altro soggetto - è necessario che il titolare del credito effettui una cessione a titolo oneroso, quindi verso corrispettivo o effettui una donazione pro-quota o per intero del suo credito vantato verso la banca. Effetti sull’apertura della successione Se si condivide la soluzione della Corte di Cassazione il cointestatario, per poter sostenere che è titolare del diritto di credito verso la banca anche per le somme di denaro depositate sul conto corrente esclusivamente dal de cuius, deve sostenere di aver beneficiato della donazione delle stesse. Ai fini del computo della legittima si deve tenere conto di tutti gli atti di donazione posti in essere in vita dal de cuius. La donazione è, nella sostanza, un’anticipazione della successione e non si può omettere di considerare che il coniuge superstite avrebbe così già beneficiato in vita di una somma di denaro che non gli apparteneva. Ad esempio Tornando all’esempio precedente, se il cointestatario non ha versato sul conto corrente alcuna somma di denaro, avrebbe già ottenuto la disponibilità in vita di una somma di denaro pari a 250.000 euro.Tale somma di denaro, indipendentemente dal dato formale costituito dall’intestazione del conto corrente, proveniva dalle disponibilità del de cuius. Determinazione della quota di legittima In teoria la situazione è relativamente semplice, ma quando si passa alla materiale determinazione della quota di legittima, la situazione cambia radicalmente. Infatti, supponendo che il de cuius abbia fatto in vita delle donazioni di denaro e di immobili, occorre determinare il valore di questi beni. Per il denaro non sussiste un problema di valutazione, ma come detto, i problemi possono sorgere a causa dei conti correnti cointestati. Quindi occorre identificare i beni lasciati dal de cuius al momento della morte (c.d. beni relitti o relictum), attribuire a questi beni il valore che avevano al momento dell'apertura della successione, poi occorre sottrarre dal valore dei beni lasciati dal defunto i debiti del defunto da valutare sempre alla data dell'apertura della successione e, infine, sommare il valore delle donazioni effettuate in vita dal de cuius. Se si tratta di denaro, le donazioni vanno indicate in base al valore nominale; se, invece, si tratta di beni immobili o mobili le donazioni vanno sommate in base al loro valore al momento dell'apertura della successione. Ad esempio 250.000 euro appartengono al de cuius e 250.000 euro, giacenti sul conto corrente cointestato, sono il “frutto” di una precedente donazione e quindi entrano a far parte del relictum, cioè della “massa” al fine del computo della quota di legittima.Se l’importo in questione fosse escluso dalla “massa” sussisterebbe il rischio di creare un danno ai legittimari i cui diritti potrebbero risultare lesi.