È il momento della legge di Bilancio 2020 e dei provvedimenti collegati. Non è il tempo di richiamare alla memoria le cose da verificare “a prescindere”. Consideriamo, al momento, la parte in cui il tema dominante è costituito dalle disposizioni che riguardano la lotta all’evasione. Si parla espressamente di strumenti volti a rafforzare e a razionalizzare il sistema sanzionatorio esistente. E, quindi, di un aumento indiscriminato delle sanzioni (anche penali) e di un livellamento (al ribasso) degli importi che consentono la configurazione dei reati e cose di questo genere. Niente di insolito. Se ne potrà parlare, in altre occasioni e con la dovuta distensione. C’è qualcosa che va detto subito, perché la “lotta al sommerso” si pensa di combatterla con disposizioni i cui connotati sono del tutto nuovi nel panorama tributario. Per infliggere pene esemplari si parla di “sequestro” e di “confisca per sproporzione”. Sono previsioni assolutamente assenti nelle attuali tavole dei comandamenti. Ne consegue che il catechismo vigente deve essere integrato. Si parla di una confisca speciale della cui esistenza (tra chi parla il linguaggio delle imposte) nulla si sapeva. Si sapeva della “confisca per equivalente”; ma non di più. Tant’è che per sapere qualcosa in ordine al nuovo, dobbiamo chiedere ai penalisti del coro come stanno le cose nel quadro della “confisca per sproporzione”. Al momento sappiamo che le nuove disposizioni (di forte impatto) consentono il sequestro e la confisca dei beni comprese le disponibilità finanziarie e patrimoniali di cui il condannato (in via definitiva) non sia in grado di giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona (fisica o giuridica), risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo”. Insomma, un intervento a gamba tesa in nome della lotta all’evasione fiscale. A questo punto, i penalisti ci diranno il “dove, come e quando” questa arma colpirà i “colpevoli”. E tutto sarà da capire. Allo stato delle cose possiamo pensare che la confisca, anche se rapportata a valori patrimoniali, non può essere considerata un’imposta sul patrimonio (esistente a un momento che non ha data certa e non dà certezze anche in ordine all’accertamento che tale “prelievo” può configurare). Un punto fermo possiamo però permettercelo. L’ordinamento delle imposte nel suo insieme non entra in discussione. Lo Stato, nelle situazioni che sono al centro della nostra attenzione, non riscuote un’imposta ma, al verificarsi di determinati presupposti (genericamente enunciati), sequestra e poi confisca un patrimonio detenuto da un soggetto ritenuto colpevole di non pagare le imposte. Il significato corretto del verbo “sequestrare” ci è familiare. Un po’ meno quando abbiamo a che fare con il verbo “confiscare”. Diciamo che può bastare sapere che la confisca è una misura di sicurezza consistente nell’avocazione allo Stato di cose usate per commettere un reato o provenienti dallo stesso. Quanto basta per riaprire le pagine di un vecchio (di quasi ottant’anni) libro di storia delle tasse di una volta. Si parlava - ad un certo punto e per la prima volta - di avocazione allo Stato di un qualcosa. La seconda grande guerra era appena terminata. La situazione finanziaria del paese era quella che era. Necessitavano entrate straordinarie. È stata l’occasione per di assoggettare a un prelievo tassazione anche gli aumenti patrimoniali conseguiti durante (o a causa) della guerra. Si pensò, così, ad una tassazione per colpire i “profitti di guerra”. Si trattava, in concreto, di fare quattro conti e di comparare gli investimenti effettuati in un determinato periodo di tempo per assoggettare all’imposta i profitti che si ritenevano riconducibili. Il conseguimento di tali profitti imponeva al contribuente l’obbligo di presentare una speciale dichiarazione riguardante le utilità conseguite. Possibile a questo punto trovare una sovrapposizione tra il vecchio e il nuovo. Ma la sovrapposizione svanisce se si considera che nella precedente versione la legge prevedeva che il contribuente fosse invitato a sottoscrivere una formula preconfezionata di giuramento nella quale si doveva ribadire che “le dichiarazioni fatte (dal contribuente) erano integrali e veritiere in rapporto ai vari elementi che concorrevano a formare l’aumento del patrimonio”. Oggi questa previsione non c’è. Forse si è temuto di aprire una falla per le possibili condanne per spergiuro. I profitti di guerra hanno ceduto subito il passo ai “profitti di contingenza”. Ai profitti, cioè, realizzati da un soggetto attraverso una condotta fraudolenta messa in atto per sottrarsi alla falcidia dei profitti realizzati “sfruttando” situazioni di emergenza. L’avocazione era limitata all’80 per cento dei profitti conseguiti. Nella previsione introdotta dal decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio 2020 non sono previsti riconoscimenti di detrazioni. Forse, anche per non aver a che fare con un valore netto, oggi non si parla di avocazione, ma di confisca. Stiamo a vedere.