La misura di prevenzione patrimoniale della confisca in occasione della commissione di reati tributari evasivi richiede, ai fini applicativi, oltre all’accertamento della pericolosità del soggetto agente, anche il soddisfacimento di due requisiti: la produzione di reddito illecito e la rispettiva attribuzione dello stesso alle condotte criminose. L’eventuale adesione da parte dell’imputato al condono fiscale non azzera il rilievo della condotta criminosa, ma determina una riduzione del risparmio di imposta, con conseguente ridimensionamento della quota di beni confiscabili. A chiarirlo la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12322 del 16 aprile 2020. IL FATTO Alcuni imputati venivano attinti dalla misura di prevenzione patrimoniale della confisca, applicata in via disgiunta sul alcune unità immobiliari. Il Tribunale competente motivava il provvedimento sul presupposto di un’evidente sproporzione tra gli immobili ed il reddito dichiarato, nonché su una serie di condanne pregresse e precedenti di polizia. Il provvedimento veniva impugnato dalla difesa innanzi alla Corte di Appello, evidenziando fra i vari motivi l’assenza della pericolosità sociale degli imputati e, con particolare riferimento alle condotte di evasione fiscale veniva rappresentato che gli interessati avevano usufruito del condono fiscale di cui alla legge n. 413/1991, effettuando i relativi versamenti con la conseguente sanatoria degli illeciti tributari commessi negli anni antecedenti. Tuttavia, i giudici di secondo grado ritenevano applicabile la misura applicata in ragione della sopravvenienza dei dati normativi e fattuali che confermavano la realizzazione delle condotte criminose, e come tale non potevano essere ritenute prive di rilevanza, nemmeno, per quello che in questa sede rileva, con la fruizione del condono. Il predetto istituto, prosegue la Corte di merito, non ha alcuna funzione sanante e riqualificatoria in termini di legittimità dei profitti. Il risparmio di spesa ottenuto ha, di fatto, rappresentato la provvista per i futuri investimenti, anche successivi a tale epoca. Avverso detta decisione veniva proposto ricorso in Cassazione dalle parti, per ivi sentire accogliere le proprie doglianze. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto in parte il ricorso proposto dai prevenuti, disponendo il rinvio ad altra sezione della competente Corte di Appello. In via preliminare, i giudici di legittimità hanno chiarito che l’applicazione della confisca è condizionata all’esito positivo di un duplice accertamento finalizzato alla verifica dell’esistenza di una provvista economica conseguita con i reati tributari e degli elementi idonei a rappresentare che i proventi illeciti possano essere riferiti a tale reato. In stretto riferimento all’evasione fiscale, proseguono i giudici della Corte, occorre altresì verificare che il soggetto agente fosse dedito, in modo continuativo, a condotte delittuose elusive degli obblighi contributivi e, come tale, a realizzare un risparmio di imposta, una provvista finanziaria che deve considerarsi quale provento. L’eventuale adesione al condono, evidenzia la Corte, porta, di per sé, a una riduzione oggettiva del risparmio d’imposta determinando una sensibile riduzione del reddito delittuoso, con la conseguente riduzione o rimozione della misura di prevenzione patrimoniale. Nel caso in esame, la richiesta ricognizione non era stata compiuta correttamente, poiché in primo luogo non veniva provata l’effettiva produzione di reddito illecito mediante gli illeciti tributari commessi; in secondo luogo non si era tenuto conto della fruizione del condono fiscale dai prevenuti. Da qui l’accoglimento parziale del ricorso.