Le spese del giudizio possono essere compensate dal giudice in tutto o in parte soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate. Non soddisfa il dettato normativo del nuovo articolo 15 del Dlgs 546/1992 la compensazione disposta dai primi giudici con la generica formula «equa e conforme a giustizia» senza che dal contesto della motivazione possano esserne desunti o riconosciuti i motivi. Questo il principio che si ricava dalla sentenza n. 5032/13/19 della Ctr Lombardia depositata il 12 dicembre 2019. Nella controversia esaminata dalla Ctr Lombardia i giudici accolgono la richiesta della parte privata di riforma della sentenza di primo grado sul capo della stessa che aveva disposto la compensazione delle spese di lite ritenuta dai primi giudici «equa e conforme a giustizia», in quanto, dal contesto della motivazione, non potevano esserne desunti o riconosciuti i motivi. Il Collegio osserva che nel vigore dell’articolo 92 del Codice di procedura civile il potere discrezionale di disporre la compensazione parziale o totale delle spese di lite è subordinato o alla sussistenza della soccombenza reciproca o alla concorrenza «di altri giusti motivi esplicitati nella motivazione». I giudici regionali rammentano come già le Sezioni unite della Suprema corte, con sentenza 20598/2008, componendo un contrasto di giurisprudenza, avevano chiarito che il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi doveva trovare un adeguato supporto motivazionale, in modo che le ragioni giustificatrici di detto provvedimento risultassero «chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito o di rito». La riforma del processo tributario (Dlgs 156/2015) in vigore dal 1° gennaio 2016 ha introdotto tante e importanti novità sia agli istituti che ai principi che disciplinano e ispirano il rito processuale tributario; fra i vari interventi del legislatore vi è stato anche quello che ha rafforzato il principio della soccombenza nella liquidazione delle spese del giudizio da parte del giudice. La ratio legis, richiamata nella relazione illustrativa alla sopracitata novella, prendeva le mosse dall’allora quadro statistico sull’andamento del contenzioso tributario da cui emergeva che nei gradi di merito le relative spese risultavano compensate per oltre il 70% dei casi. L’intenzione, pertanto, del legislatore pro tempore è stata quella di rafforzare il principio della soccombenza per limitare l’utilizzo della compensazione in modo da traslarla «da regola ad eccezione». Così recita il testo del nuovo articolo 15, comma 2, del Dlgs 546/1992: «Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate». Nonostante l’intervento legislativo de quo non sono rari i casi (un esempio ne è la pronuncia in commento) in cui viene disposta la compensazione delle spese con formule di rito ed in assenza dei citati presupposti di legge. Uno dei motivi potrebbe essere dato dalla genericità del precetto (gravi ed eccezionali ragioni) non prevedendo una esplicita previsione casistica dei motivi da considerare gravi ed eccezionali che la giurisprudenza, de iure condendo, sta cercando progressivamente di riempire: la Cassazione, ad esempio, con l’ordinanza 10042/2018 ha stabilito che «le gravi ed eccezionali ragioni, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, devono riguardare specifiche circostanze e aspetti della controversia e non possono essere espresse con una formula generica». La Corte costituzionale, con la sentenza 77 del 19 aprile 2018, seppur con riferimento al processo civile, ha di fatto esteso il perimetro della compensazione non solo alle ipotesi di «assoluta novità della questione trattata» o al «mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti» (ex articolo 92 del Codice di procedura civile) ma anche «qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni». L’importanza dell’applicazione del più volte citato disposto normativo andrebbe letta congiuntamente alle altre novità che il legislatore ha apportato con il Dlgs 156/2015 al rito tributario. In tal senso andrebbe considerato che il contributo unificato, introdotto nel processo tributario dal 2011, è stato esplicitamente inglobato dal legislatore nell’ articolo 15 del rito tributario attraverso il comma 2-ter: «Le spese di giudizio comprendono oltre al contributo unificato»; poiché esso rappresenta un tributo comunque dovuto ex lege (Corte costituzionale 73/2005), svincolato dal rapporto processuale fra le parti, la sentenza che dispone la compensazione fra le parti, anche se una di esse è vittoriosa, potrebbe lasciarle “in pancia” il costo del contributo unificato, quale costo anticipato per adire la giustizia, senza poterlo recuperare dalla controparte soccombente. Su quest’ultimo aspetto va comunque ricordato che la Cassazione (ordinanza 29681/2017) ha affermato che nell’ipotesi in cui il ricorrente risulti vittorioso e ottenga l’annullamento dell’atto ma il giudice compensi le spese tra le parti, l’Ente impositore deve rifondere il contributo unificato per un ammontare pari alla sua metà. In tale contesto va altresì rammentato il “nuovo” regime di immediata esecutività delle sentenze di condanna a favore del contribuente previsto dall’articolo 69 del Dlgs 546/1992 che, quanto alle spese di giudizio, consente ai contribuenti di attivare immediatamente tale regime sulla base del titolo giudiziale e indipendentemente dalla riscossione frazionata (articolo 68).