Il commercialista non risarcisce per il danno conseguenza dell'accertamento da parte dell'Agenzia delle entrate, se il cliente non prova la consegna dei documenti contabili alla base del supposto errore del professionista. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 32495 del 12 dicembre 2019, respinge il ricorso della società e degli amministratori, teso a chiedere 474 mila euro di risarcimento, pari alla somma che risultava dalle cartelle esattoriali, emesse dall'Agenzia delle Entrate a causa della omessa contabilizzazione e della mancata dichiarazione dei ricavi. Una richiesta respinta in primo grado, con un verdetto confermato in appello. Secondo la Corte territoriale spettava, infatti, al cliente produrre in giudizio i documenti non contabilizzati. Attività, spiegavano i giudici, che non poteva considerarsi preclusa dall'accertamento compiuto in sede tributaria basato su presupposti e finalità diverse. I giudici di merito, con una lettura che la Cassazione conferma, avevano escluso che fosse un dovere della commercialista, come pretendevano i ricorrenti, fornire le “pezze” d'appoggio utili a respingere le loro contestazioni. Non passa neppure il tentativo di affermare comunque la responsabilità della professionista, per la mancata diligenza, che stava nel non aver segnalato ai suoi clienti i frequenti saldi negativi in cassa. Contestazione diversa rispetto all'addebito iniziale, ma che sarebbe stata in ogni caso non autosufficiente. I ricorrenti non avevano neppure indicato l'estensione del mandato professionale conferito alla commercialista, né chiarito il contenuto degli atti di accertamento fiscale e la sede in cui reperire le sentenze richiamate, da cui emergerebbe “il fenomeno della cassa in rosso degli importi pretesi dall'Agenzia delle Entrate”.