In ipotesi di trasferimento dell’attività professionale il valore della clientela, da sottoporre a tassazione ex art. 54 comma 1-quater del TUIR, in mancanza di espressa indicazione nel contratto, deve essere determinato dal giudice attraverso l’esame complessivo del testo negoziale. Peraltro, in epoca precedente all’entrata in vigore della disciplina innovativa introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, il corrispettivo riferibile alla cessione della clientela va ricondotto alla categoria dei “redditi diversi” di cui all’art. 67, comma 1, lett. l) del TUIR. È quanto emerge dall’ordinanza n. 3400/2019 della Corte di Cassazione (Sez. V civ.) che ha accolto il ricorso di un avvocato che si è opposto al recupero a tassazione dei corrispettivi ricavati dalla cessione del suo Studio (che non sono stati dichiarati fra i “redditi diversi”). IL FATTO La cessione dello Studio professionale in questione è avvenuta nel 2005 e l’Agenzia delle Entrate ha sottoposto a tassazione il provento, riconducendolo a un reddito diverso ex art. 67, comma 1 del D.P.R. n. 917 del 1986, in quanto «non conseguito nell’esercizio di arti o professioni» e rientrante nella lettera l) che comprende «i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere». Un regime di tassazione specifico per i corrispettivi oggetto di controversia è stato introdotto dall’art. 36, comma 29 del D.L. n. 223 del 2006 attraverso l’inserimento nell’art. 54 del TUIR (che disciplina il reddito da lavoro autonomo) del comma 1-quater, secondo cui «concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all'attività artistica o professionale». Ebbene, nel caso che ci occupa, la cessione dello Studio professionale è avvenuta, come detto, nel 2005 e quindi è non soggetta temporalmente alla normativa innovativa. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Muovendo da tale presupposto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente perché ha ritenuto errata la decisione della Ctr nella parte in cui ha ricondotto ai redditi diversi l’intero corrispettivo dell’operazione economica. La Commissione regionale ha riscontrato i presupposti per configurare un trasferimento di attività professionale svolta in forma d’impresa ed ha quindi ritenuto giustificata l’attrazione del corrispettivo nell’ambito dei redditi diversi e ha inoltre evidenziato l’assenza d’indicazione distinta dei valori attribuita a ogni singolo elemento della cessione (clientela, arredi etc.). Secondo il contribuente, la Ctr ha erroneamente qualificato come reddito diverso l’intero corrispettivo della cessione, senza tener conto che il trasferimento aveva a oggetto lo Studio nel suo complesso, e quindi una pluralità di elementi – quali attrezzature, arredi, procedure, personale – cui non può riconnettersi l’assunzione degli «obblighi di fare, non fare o permettere», solo in presenza dei quali, ai sensi dell’art. 67, lett. l) del TUIR, l’attività di lavoro autonomo può generare «reddito diverso». La Suprema Corte ha condiviso il rilievo del contribuente perché, invero, la norma suindicata individua quali redditi diversi tassabili esclusivamente quelli derivanti dall’assunzione di un obbligo di fare, non fare o permettere, e non, complessivamente, tutti quelli derivanti dalla cessione di attività in forma d’impresa, che ontologicamente ricomprende una pluralità di elementi materiali e immateriali. La Corte, di conseguenza, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Ctr, in diversa composizione, affinché proceda «ad un nuovo accertamento, valutando se, ed in quale misura, il corrispettivo pattuito in contratto possa ritenersi imputabile alla cessione della clientela e debba pertanto essere tassato quale "reddito diverso" ai sensi dell'art. art. 67, comma 1, lett. l) del d.P.R. n. 917 del 1986.» Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza annullata, i Massimi giudici hanno precisato che non spettava al contribuente specificare il valore contrattualmente attribuito a ogni singolo elemento oggetto della cessione, atteso che l’onere della prova sul presupposto impositivo è a carico dell’Amministrazione finanziaria. D’altro canto, il giudice tributario ha il potere di provvedere a una nuova determinazione dell’importo tassabile; sicché, nel caso specifico, la Ctr, in sede di rinvio, dovrà desumere presuntivamente dall’esame complessivo del testo negoziale «il valore (più o meno preponderante) attribuito dalle parti alla cessione della clientela rispetto agli altri beni materiali e immateriali ceduti, seppure non espressamente indicato nel contratto».