L’ipotesi di cessazione dell’attività da parte dei lavoratori autonomi, nei casi in cui vi siano operazioni effettuate che non sono ancora state regolamentate finanziariamente, è stata più volte presa in considerazione da parte della prassi amministrativa (così come dalla giurisprudenza), con indicazione del comportamento che il professionista deve tenere se desidera chiudere la posizione IVA prima di aver incassato i crediti relativi alle cessioni/prestazioni effettuate. Negli ultimi anni, con diversi documenti di prassi l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sul tema chiusura della Partita IVA a seguito dell’estinzione dell’attività, anche con riferimento a casi particolari – professionista deceduto con crediti da incassare. L’Amministrazione finanziaria si è infatti storicamente espressa esaminando nello specifico gli adempimenti e gli obblighi tributari per i contribuenti che hanno terminato di esercitare la propria attività in presenza di crediti ancora da incassare relativi a prestazioni rese. Il tema della cessazione dell’attività in presenza di operazioni non ancora regolate risulta infatti complesso, in considerazione delle diverse norme applicabili: alla fatturazione delle operazioni attive (servizi in particolare) e al conseguente versamento dell’Iva dovuta; alla necessità – “obbligo” in taluni casi – di chiudere la partita Iva ad esito della conclusione dell’attività esercitata. Partendo dai pronunciamenti di prassi più recenti, si può prendere in considerazione la risposta a interpello n. 218 del 26/04/2022, con cui l’autorità fiscale ha affermato – di fatto ribadendolo – che la chiusura della partita IVA postula la definizione dei rapporti giuridici pendenti da parte del professionista che intende cessare l’attività (come già affermato nella precedente circolare n. 11/E del 16/02/2007, § 7.1). Pertanto, secondo l’Agenzia, in presenza di crediti professionali da incassare, il lavoratore autonomo può alternativamente: a) attendere di ottenere quanto gli è dovuto e, solo dopo, chiudere la posizione IVA. Emettendo in questo modo la fattura e dichiarando i redditi nell’anno d’imposta in cui hanno luogo i vari pagamenti (come da principio di cassa); b) chiudere la partita IVA prima dell’incasso dei crediti, emettendo però in questo caso anticipatamente la fattura, ed assolvendo di conseguenza la relativa IVA. In tale ultima ipotesi, i compensi che non hanno ancora avuto manifestazione finanziaria al momento della chiusura della posizione IVA saranno imputati tra i redditi relativi all’ultimo anno di attività professionale. Diversamente, se non vi è la fatturazione "anticipata" dei compensi non ancora incassati, l’Agenzia ritiene impropria la chiusura della partita IVA – in quanto realizzata prima che siano concluse tutte le attività ad essa connesse. Il professionista sarà pertanto tenuto a riattivare la propria posizione fiscale e, al momento dell’effettivo incasso dei singoli crediti, emettere fattura e dichiarare i compensi come reddito professionale a livello reddituale. La precedente risposta a interpello n. 785 del 19/11/2021 ha invece riguardato un professionista (avvocato) deceduto, per il quale il coniuge faceva presente che tutte le posizioni riguardanti l’attività professionale del de cuius erano state considerate chiuse dagli eredi – visto che le ultime fatture emesse dal professionista erano molto datate – motivo per cui era stata comunicata la cessazione dell’attività e la cancellazione della relativa Partita IVA. Successivamente al decesso, però, gli eredi comunicavano ai clienti del professionista l’avvenuta cancellazione, chiedendo di verificare la presenza di posizioni aperte; emergevano quindi, dopo oltre un anno dal decesso, alcune posizioni creditorie residue (sia verso altri operatori che nei confronti di privati), per le quali venivano raggiunti degli accordi per il relativo pagamento. Per questo motivo si chiedevano chiarimenti all’Amministrazione finanziaria in merito alle modalità di assolvimento dell’Iva per le operazioni poste in essere dal professionista in vita e regolate solamente a seguito della chiusura della Partita IVA. Nel fornire la propria risposta, l’Agenzia delle Entrate richiamava, tra le altre, la risoluzione n. 232/E del 20/08/2009, nella quale veniva riportato che “la cessazione dell’attività per il professionista non coincide, pertanto, con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all’art. 2956, comma 1, n. 2 del Codice civile) l’attività professionale non può ritenersi cessata”. Pertanto, visto che nel caso di cui alla risposta del 2021 il de cuius non aveva fatturato alcune prestazioni – in quanto non incassate – l’obbligo si doveva intendere trasferito agli eredi (come previsto dall’art. 35-bis del D.P.R. 633/1972): questi ultimi avrebbero infatti dovuto fatturare le prestazioni eseguite dal professionista deceduto, in seguito all’incasso e in nome del medesimo. Tuttavia, considerata la chiusura della Partita IVA del de cuius, gli stessi eredi avrebbero dovuto: preliminarmente chiederne la riapertura, e solo successivamente, documentare le prestazioni effettuate in vita per le quali era stato ricevuto il pagamento dopo la morte.