Con il decreto di riforma della riscossione, il legislatore è intervenuto a modificare l’art. 12, comma 4-bis del D.P.R. n. 602/1973 inserito a suo tempo con l’art. 3-bis, comma 1, D.L. n. 146/2021. La riforma Con il decreto Riscossione si è provveduto ad ampliare le casistiche che porgono al contribuente quell’interesse finalizzato all’impugnazione delle cartelle esattoriali rinvenute nell’estratto di ruolo. Se fino ad adesso le ipotesi per impugnare le cartelle mai notificate erano solo tre, con l’entrata in vigore del decreto delegato altri tre casi ne possono suscitare l’interesse. Alle ipotesi classiche che sono: a) per effetto di quanto previsto dal Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36; b) per la riscossione di somme dovute al debitore dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), D.M. MEF 18 gennaio 2008, n. 40, anche per effetto delle verifiche di cui all’art. 48-bis, D.P.R. n. 602/1973; c) per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione, si aggiungono le lettere d), e) ed f). Le nuove ipotesi di interesse ad agire A queste ipotesi se ne aggiungono altre tre: “d) nell’ambito delle procedure previste dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14; e) in relazione ad operazioni di finanziamento da parte di soggetti autorizzati; f) nell’ambito della cessione dell’azienda, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 14 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472”. In poche parole, sono state ampliate le ipotesi per poter porre freno a un’ipotetica (ma quanto mai temuta possibile) esecuzione a sorpresa da parte dell’Agente della riscossione, basata su atti che fino a quel momento non erano stati conosciuti dal contribuente. Così, nella vita vissuta, con la consultazione dell’estratto di ruolo il contribuente avrebbe potuto denunciare liberamente la presenza di somme idonee all’attivazione di un possibile azione esecutiva, e portare in giudizio un’azione contro gli atti esecutivi sostenendo che tali documenti non erano mai pervenuti nella propria sfera di conoscenza. Con la riforma del 2021, questo è possibile solo in tre casi, con il decreto Riscossione in sei casi. Un po' di storia La facoltà di adire alla giurisdizione, in via preventiva, con un ricorso al buio fu confermata dalla Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 19704 del 2 ottobre 2015. Essa con riferimento all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 (elenco degli atti impugnabili) ebbe a sostenere: “[...] una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione”. Da quel momento, le Corti tributarie vedevano il deposito di innumerevoli ricorsi, tali da rappresentare una parte non indifferente del carico contenzioso in Italia. Al fine di arginare la mole descritta il legislatore ebbe ad introdurre nel dicembre 2021 il comma 4-bis all’art. 12, D.P.R. n. 602/1973. Le SS.UU. della Cassazione, con la sentenza n. 26283 del 6 settembre 2022, ritennero che la prova dell’interesse ad agire riguardasse tutti i procedimenti in corso e che la norma dovesse applicarsi retroattivamente. Tuttavia, consentiva ai ricorrenti la possibilità di provare, anche in giudizio di ultimo grado, l’interesse ad agire che riposava sul nuovo comma 4-bis. Il contenzioso pendente veniva pesantemente falcidiato con miriadi di pronunce di inammissibilità per carenza di interesse. La Consulta affrontava il caso ben due volte, grazie al rinvio pregiudiziale di alcuni giudici di merito, ma in entrambi i casi decideva come inammissibile la richiesta. Degna di nota la prima pronuncia costituzionale, sentenza n. 190 del 17 ottobre 2023, che da un lato ha propeso per l’inammissibilità della questione sollevata, compresa la retroattività della norma nonché il diritto di difesa, dall’altro lato ha invitato il Governo a una complessiva riforma della riscossione. Ed ecco la riforma: le nuove ipotesi per agire in giudizio Premesso che, a parere di chi scrive, la compressione del diritto di difesa è sempre presente, tuttavia non si può che registrare un piccolo passo avanti. Infatti, ad oggi le ipotesi di legge che integravano l’interesse ad agire, che è condizione dell’azione (n.d.A.), erano davvero residuali e più vicine al mondo delle partite IVA. La prima novità, rubricata alla lettera d) riguarda i soggetti che hanno intrapreso il percorso della crisi d’impresa (anche se nella novella è contenuta la parola “impresa”, il riferimento legislativo generale non lascia spazio a dubbi e riguarda anche tutti i casi da sovraindebitamento del consumatore). Si lasciano agli esperti del settore le casistiche, ma il contenzioso contro le cartelle potrà effettuarsi anche solo inserita la domanda presso l’opportuna sezione della Camera di commercio, o con la sola richiesta all’OCC, con l’evidenza di non voler introdurre alcuni debiti illegittimi all’interno della procedura di composizione. Altro tassello rappresentato dalla neo introdotta lettera e), che forse è l’ipotesi più democratica. Infatti, gli istituti di credito di fronte a casi di ruoli azionati dal fisco, visti di sistemi di allarme bancario, saranno meno propensi a elargire affidamenti e finanziamenti di ogni tipo a soggetti sia in forma di impresa che privati, attivando così, l’interesse a poter adire alla giurisdizione per tentare di annullare i debiti. Così anche per le ipotesi di cessione di azienda, dove l’Agenzia delle Entrate, certificatrice dei debiti pendenti, potrebbe avere in corpo dei crediti prescritti o mai notificati, tanto da attivare, secondo l’ipotesi alla lettera f), l’interesse ad agire. Ipotetici rimedi per i contenziosi pendenti o definitivi I contenziosi pendenti potranno usufruire della norma in campo, così che il contribuente potrà eventualmente portare in giudizio ulteriori giustificazioni al fine di dimostrare l’interesse ad agire sulla base della novità legislativa. Queste ipotesi possono essere apportate, in qualunque stato e grado del giudizio e possono essere anche sopravvenute. Ma il problema risiede in tutti quei contenziosi che sono stati dichiarati inammissibili per mancanza di interesse e poi non più coltivati o impugnati. Infatti, ove dovessero pendere i termini di impugnazione, è evidente che il contribuente possa adire al rimedio dell’appello o del ricorso per Cassazione. Nell’altro caso, a termini spirati, a parere di chi scrive, l’inammissibilità per carenza di interesse ex art. 100 c.p.c. dettata dalla non corrispondenza dell’azione all’interesse dell’art. 12, comma 4-bis, D.P.R. n. 602/1973, non determina l’improponibilità di un nuovo contenzioso sin dal primo grado, in quanto vi è una domanda rediviva su basi nuove dettate dalla riforma, specie nel caso di impugnazione basate su estratto di ruolo, che non ha un dies a quo cui fare riferimento (ex multis Cass. n. 1302/2018). Tuttavia, si potrebbe eventualmente tentare la strada del comma 2 dell’art. 153, secondo cui “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini”. Strada ardua ma non peregrina. Certo, sarebbe stato auspicabile un rimedio straordinario come, ad esempio, un caso ad hoc di revocazione straordinaria per chi avesse avuto il caso oramai definitivo per mancanza di interesse basato sulla vecchia versione della norma, ma si comprende che questo avrebbe creato un precedente stravolgente nella procedura tributaria. Art. 12, comma 4-bis, D.P.R. n. 602/1973 Prima del decreto Riscossione Dopo il decreto Riscossione 4-bis. L'estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell'articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all'articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione 4-bis. L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio: a) per effetto di quanto previsto dal codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023 n. 36; b) per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, anche per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto; c) per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione; d) nell’ambito delle procedure previste dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14; e) in relazione ad operazioni di finanziamento da parte di soggetti autorizzati; f) nell’ambito della cessione dell’azienda, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 14 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Cass. SS. UU., sentenza 6 settembre 2022, n. 26283 (principio di diritto) Va quindi affermato, ex art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto: "in tema di riscossione a mezzo ruolo, l'art. 3-bis del D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, inserito in sede di conversione dalla l. 17 dicembre 2021, n. 215, col quale, novellando l'art. 12 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poichè specifica, concretizzandolo, l'interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cost., quest'ultimo con riguardo all'art. 6 della CEDU e all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione”. Corte Costituzionale, sentenza n. 190/2023 (conclusioni) “il rimettente del resto, da un lato, non misconosce le «ragioni sottese alla norma sotto esame: a seguito delle SS.UU. del 2015 è evidente che il Legislatore si è preoccupato di evitare un proliferare di ricorsi per carichi anche molto risalenti e che a fronte di esazione piuttosto improbabile avrebbero gravato in maniera eccessiva sugli uffici sottraendo risorse preziose e causando il danno economico della possibile condanna al pagamento delle spese di giudizio». Dall’altro, manifesta «perplessità» per «il fatto che per risolvere tale problema il Legislatore sia intervenuto condizionando pesantemente la possibilità di difendersi in giudizio», censurando quindi la norma in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost. «nei termini di cui in motivazione», nella quale, dopo avere esposto una casistica delle fattispecie ritenute indebitamente pretermesse, conclude che «il Legislatore avrebbe potuto adottare soluzioni più snelle e con costi irrisori, che comunque sarebbero state rispettose del diritto di difesa». Di qui l’inammissibilità delle questioni sollevate, dal momento che, come emerge dalla stessa prospettazione del rimettente, il rimedio al vulnus riscontrato richiede, in realtà, un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore (sentenze n. 71 del 2023, n. 96 e n. 22 del 2022, n. 259, n. 240, n. 146, n. 103, n. 33 e n. 32 del 2021).”.