Con la risposta n. 143 del 2 luglio 2024 l'Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in tema di regime carried interest. L'articolo 60, comma 1, decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 prevede che i proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, percepiti da dipendenti ed amministratori di tali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati, si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi. La presunzione in questione opera in presenza delle condizioni individuate dal medesimo articolo, al comma 1, lettere a), b) e c), ovvero: a) l'impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l'1% dell'investimento complessivo effettuato dall'organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti; b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i suindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all'organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell'investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo; c) le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione. La circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E ha chiarito che la carenza di uno o più dei presupposti stabiliti dalla norma non determina l'automatica qualificazione dei proventi come redditi collegati alla prestazione lavorativa, ma richiede lo svolgimento di un'analisi volta a verificare, caso per caso, l'idoneità dell'investimento a determinare quell'allineamento citato che consente di attribuire alle somme in argomento natura finanziaria. A tale proposito, nel medesimo documento di prassi l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che l'eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le medesime caratteristiche da parte degli altri soci, nonché la presenza di una adeguata remunerazione per l'attività lavorativa svolta da parte dei manager possono fungere da indicatori della natura finanziaria del reddito in questione; ed altresì che un ulteriore criterio di valutazione è nell'idoneità dell'investimento, anche in termini di ammontare, a garantire l'allineamento di interessi tra investitori e management e la conseguente esposizione di quest'ultimo al rischio di perdita del capitale investito. Se tale caratteristica può costituire un indice della natura finanziaria del provento, pattuizioni che incidano in senso negativo sulla posizione di rischio dei manager mal si conciliano con la qualificazione dello stesso come reddito di capitale o diverso. Riguardo alle clausole di good o bad leavership, in linea generale la loro presenza costituisce un indicatore utile a collegare il provento all'impegno profuso dai manager nell'attività lavorativa (e quindi a produrre reddito di lavoro). Non può escludersi, tuttavia che la ricorrenza di altri elementi di segno opposto, quali ad esempio l'esposizione ad un effettivo rischio di perdita del capitale investito, possano far propendere per la natura finanziaria del provento. Viceversa, consentire ai manager di mantenere la titolarità degli strumenti finanziari anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro costituisce un'indicazione sufficiente ad escludere in radice uno stretto legame con l'attività lavorativa dei manager, ed indica la natura finanziaria del reddito in questione. Il medesimo documento di prassi, con riferimento al requisito dell'investimento minimo, ha chiarito che la base di commisurazione dell'investimento dei manager o dipendenti è condizionata anche dagli investimenti posti successivamente in essere, mediante sottoscrizione di quote/azioni in sede di aumento di capitale sociale o acquisto di partecipazione societarie, da altri soggetti, diversi dai manager. Ciò comporterà per i manager la necessità di adeguare i propri investimenti al fine di raggiungere la percentuale dell'1% del nuovo valore economico del patrimonio netto. Nel caso di specie, con particolare riferimento al rispetto del requisito di cui alla lettera a) del comma 1, dell'articolo 60, del decreto legge n. 50 del 2017, ovvero all'impegno di un investimento minimo da parte dei titolari di diritti patrimoniali rafforzati, si rileva che, in ragione di quanto affermato dagli Istanti, qualora si considerasse solo la partecipazione detenuta dagli Istanti in azioni carried tale requisito non risulterebbe più integrato a seguito del terzo aumento di capitale. Tuttavia, considerato che il comma 3 della disposizione in esame consente, ai fini della determinazione della soglia dell'1%, di considerare anche l'ammontare sottoscritto in azioni senza diritti patrimoniali rafforzati e tenuto conto che l'Istante A, in quanto socio della Società Alfa, detiene indirettamente anche azioni della Controllante prive di diritti patrimoniali rafforzati, il requisito dell'investimento minimo può ritenersi integrato. Pertanto, gli eventuali redditi derivanti dal possesso delle azioni carried in capo agli Istanti saranno inquadrabili nella categoria dei redditi di natura finanziaria.