La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20167 del 25 settembre 2020, ha esaminato il trattamento Iva delle vendite effettuate in favore di clienti dietro presentazione di buoni acquisto rilasciati da un terzo soggetto. Nel caso in cui quest’ultimo li abbia a sua volta acquistati dal venditore a prezzo inferiore al loro valore nominale, la base imponibile Iva è costituita dal prezzo di cessione dei buoni effettivamente conseguito dal venditore e non da quello corrispondente al loro valore nominale. IL FATTO Una contribuente presentava all’Agenzia delle Entrate un’istanza di rimborso del credito Iva maturato sul valore nominale dei buoni rilasciati da un ente terzo, finalizzati alla fidelizzazione della clientela. L’Ufficio non dava seguito alla richiesta facendo maturare cosi il silenzio rifiuto che diveniva oggetto di ricorso innanzi alla CTP. I giudici di primo grado ne accoglievano le doglianze e la decisione era confermata anche dalla CTR. Quest’ultima, in particolare, motivava l’accoglimento ritenendo la richiesta di rimborso in linea con la giurisprudenza comunitaria, secondo la quale la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto; il predetto, nel caso di utilizzo di buoni in pagamento del prezzo di acquisto, corrispondeva al valore derivante dalla sottrazione tra il valore del buono e lo sconto eventualmente praticato. Nel caso di specie, il calcolo dell’Iva era stato fatto solo in riferimento al valore del buono e non all’effettivo prezzo di cessione, per cui aveva diritto ad un rimborso parziale, ossia la differenza tra i due valori. Avverso detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione, per sostenere la non spettanza del rimborso. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto in parte il ricorso presentato dall’Amministrazione finanziaria. I giudici di legittimità, richiamando il principio generale secondo cui il sistema dell’Iva mira a gravare unicamente sul consumatore finale, hanno chiarito che l’Amministrazione non può riscuotere un importo superiore a quello pagato dal consumatore finale. In questo caso, la base imponibile è costituita da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore da parte dell’acquirente. Il fornitore quindi ha diritto a versare l’Iva in percentuale di quanto effettivamente percepito ovvero corrispondente al prezzo originario del prodotto detratto lo sconto praticato a mezzo dei buoni sconto. Nel caso di specie, la contribuente ha di fatto praticato un vero e proprio sconto cedendo i beni ad un prezzo superiore ai buoni rilasciati dalla società terza, senza incassare un importo corrispondente al valore nominale della merce ceduta e, come tale, le predette operazioni non possono essere assimilate a cessioni gratuite. Pertanto, conclude la Corte, la base imponibile dell’Iva che il venditore è tenuto a versare al Fisco è costituita dal prezzo di cessione dei buoni acquisto conseguito e non corrispondente al valore nominale. Da qui l’accoglimento parziale.