Nella prima bozza del decreto Agosto il blocco dei licenziamenti veniva esteso a tutti indistintamente fino a fine anno, nella seconda bozza, invece, era stata introdotta una discriminazione che prevedeva che il blocco dei licenziamenti operasse su due diverse fasce temporali tenendo conto della fine dello stato di emergenza fissato ad ottobre. Il testo definitivo del D.L. n. 104/2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 14 agosto 2020, ha ulteriormente modificato i criteri con un “compromesso” ai limiti della Costituzionalità sul blocco dei licenziamenti fino a fine anno rendendo il divieto in parte “mobile”, ma ponendo, tuttavia, alcuni paletti e molti dubbi interpretativi. Deroghe al blocco dei licenziamenti L’art. 14 del D.L. n. 104/2020, che ha prorogato il divieto di licenziamento, è bene precisarlo, non fissa una scadenza precisa per la durata stessa della proroga, stabilendo che “resta precluso” l’avvio dei licenziamenti collettivi e di quelli individuali per giustificato motivo oggettivo nei confronti di tutti i datori di lavoro. L’art. 14 del decreto legge si limita a introdurre tre esplicite deroghe: - per le imprese che hanno cessato l’attività; - per le imprese dichiarate fallite quando non sia previsto l’esercizio provvisorio; - nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo. Rientrano, quindi, tra queste eccezioni i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività d’impresa legati alla messa in liquidazione della società. Nella seconda ipotesi rientrano i licenziamenti in caso di fallimento quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o in caso di cessazione. Se l’esercizio provvisorio vale solo per un ramo dell’azienda, dal divieto, sono esclusi solo i settori non interessati. La terza eccezione riguarda la fattispecie di un'impresa che può licenziare con accordo collettivo aziendale di incentivo all’esodo concordando, con ogni singolo lavoratore, una risoluzione consensuale. In questa ipotesi i dipendenti licenziati usufruiscono della Naspi. Alle tre ipotesi previste dal legislatore, in via interpretativa, alcuni osservatori ne hanno aggiunte almeno altre tre: - licenziamento al termine delle 18 settimane di cassa integrazione; - licenziamento al termine dei 4 mesi di esonero contributivo; - licenziamento come conseguenza di una riduzione di organico che porta alla chiusura definitiva di un comparto dell’azienda. Nel caso di utilizzo degli ammortizzatori sociali il divieto cessa alla fine delle 18 settimane di cassa integrazione eventualmente richieste, ma comunque non oltre il 31 dicembre mentre, nella circostanza di utilizzo dell’esonero contributivo, il blocco si interromperà nel momento in cui si esaurirà l’incentivo, ma non oltre 4 mesi dall’entrata in vigore del decreto. Per questi soggetti si applicherà un esonero contributivo che ha una durata doppia rispetto alle ore di ammortizzatore fruite nel bimestre di riferimento. Ulteriori ipotesi Perplessità tra i tecnici emergono anche rispetto ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo motivati da esigenze che non danno accesso alla cassa Covid-19 come, ad esempio, una riorganizzazione produttiva dell’azienda. In quest’ultima ipotesi, secondo un’interpretazione ardita, sarebbe possibile licenziare, per giustificato motivo oggettivo, ma senza accedere alle integrazioni o all’esonero. Una tesi di certo condivisibile che potrebbe, tuttavia, risultare inconciliabile con un’interpretazione testuale dell’articolo 14 che pare, invece, considerare superabile il blocco dei licenziamenti solo nei casi di deroga esplicitamente individuati. Incoerenza palese, quest’ultima, che potrebbe rendere ancora più fondati i rilievi posti da numerosi illustri giuristi sulla costituzionalità, ab origine, dello stesso divieto. La norma è scritta in maniera del tutto inadeguata e resistono, purtroppo, molteplici ambiguità interpretative. Enigmatica, ad esempio, la sorte del trattamento dei lavoratori sospesi, in caso di fallimento, fino a quando il curatore non proceda concretamente ai licenziamenti, ovvero, rispetto alla effettiva possibilità di derogare al divieto dei licenziamenti anche per quei lavoratori che, nel trasferimento di azienda soggetta a fallimento, restano in forza al cedente. Sanzioni per le imprese Nella confusione generata da una disposizione, da più parti criticata, crescono i dubbi e le incertezze tutto a danno delle imprese che rischiano pesanti sanzioni in caso di errori interpretativi. Un licenziamento illegittimo rischia, infatti, di essere dichiarato nullo facendo scattare la reintegra e potenzialmente anche un maxi indennizzo fino a 36 mensilità.