Bancarotta fraudolenta se l’operazione di diminuzione patrimoniale non porta alcuna utilità

In tema di bancarotta, nel valutare come distrattiva un'operazione di diminuzione patrimoniale senza apparente corrispettivo per una delle società collegate, occorre tenere conto del rapporto di gruppo, perché il reato resta escluso se i benefici indiretti per la società fallita si dimostrino idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente sfavorevoli, sì da rendere l'operazione stessa incapace di incidere negativamente sulle ragioni dei creditori della società fallita. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13284 del 29 aprile 2020. IL FATTO Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d'appello di Roma ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di Vittorio Cecchi Gori per concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pluriaggravata, commesso nella gestione della Safin Cinematografica s.p.a., fallita nel corso del 2008. La vicenda riguarda le plurime distrazioni e dissipazioni consumate ai danni del patrimonio della fallita dai propri amministratori e liquidatori e tese favorire società del medesimo gruppo, la cui titolarità è stata ricondotta all'imputato, ritenuto concorrente nei singoli reati in qualità di determinatore delle condotte contestate. Nello specifico i fatti imputati riguardano la mancata riscossione da parte della fallita del cospicuo credito vantato nei confronti di Cecchi Gori Cinema e Spettacolo s.r.l.; la stipulazione con la suddetta società di contratti di affitto di rami aziendali (ad oggetto sale cinematografiche) contenenti clausole vessatorie nei confronti della fallita strumentali a consentire alla prima di beneficiare delle rilevanti migliorie apportate alle aziende dalla seconda a proprie spese nel breve arco di tempo di durata dei rapporti contrattuali; la ingiustificata retrocessione per morosità alla Cecchi Gori Cinema e Spettacolo dei suddetti rami aziendali senza opporre in compensazione il credito vantato nei confronti della medesima ed, infine, il trasferimento a Cecchi Gori Holding s.r.l. di cospicua liquidità di Safin, la quale riceveva in, peraltro parziale, contropartita crediti vantati dalla prima società nei confronti di Cecchi Gori Cinema e Spettacolo, crediti difficilmente realizzabili attese le già compromesse condizioni finanziarie in cui quest'ultima versava e di cui non veniva nemmeno tentato il recupero. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Vittorio Cecchi Gori, osservando come la Corte territoriale non avrebbe fatto buon governo delle regole normative e dei principi giurisprudenziali relativi alla inconfigurabilità dei reati contestati qualora l'apparente depauperamento del patrimonio sociale risulti coerente con le logiche gestionali del gruppo cui la società appartiene e da tale appartenenza ne derivino vantaggi compensativi dei sacrifici patrimoniali compiuti in favore di altro ente del gruppo medesimo. In particolare la Corte, nell'escludere la sussistenza dei suddetti vantaggi, per un verso avrebbe impropriamente ridotto la relativa nozione a quella di matematica compensazione contabile e per l'altro trascurato il dettato dell'art. 2634 comma 3 c.c., per cui i vantaggi debbono essere conseguiti o anche solo fondatamente prevedibili sulla base di una valutazione da compiersi secondo il canone della prognosi postuma. Ciò che dunque doveva essere considerato - e i giudici del merito avrebbero invece omesso - è la verifica della fondatezza ex ante dell'aspettativa dell'agente di conseguire vantaggi compensativi per il gruppo. Ed in tal senso altresì la Corte territoriale avrebbe omesso di verificare la sussistenza di effettivi indici di fraudolenza delle operazioni contestate, finendo per confondere il concetto di vantaggio "fondatamente" prevedibile, con quello di vantaggio "concretamente" prevedibile. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. Secondo l'oramai consolidato insegnamento della Suprema Corte non sussiste più alcun dubbio che i principi cristallizzati nell'art. 2634 c.c. debbano trovare applicazione non solo nell'ambito della bancarotta da reato societario, ma altresì con riguardo a quella impropria patrimoniale al fine di determinare il carattere distrattivo o dissipativo di un'operazione infragruppo. In tal senso si è dunque affermato che, nel valutare come distrattiva un'operazione di diminuzione patrimoniale senza apparente corrispettivo per una delle società collegate, occorre tenere conto del rapporto di gruppo, perché il reato resta escluso se i benefici indiretti per la società fallita si dimostrino idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente sfavorevoli, sì da rendere l'operazione stessa incapace di incidere negativamente sulle ragioni dei creditori della società fallita. Il vantaggio compensativo derivante alla società fallita dall'operazione infragruppo per la stessa sfavorevole nell'immediato non può peraltro coincidere con la mera partecipazione al gruppo, né può identificarsi con la generica utilità ritratta da quest'ultimo o con quello ricavato dalla società controllante, in quanto il collegamento tra le società e l'appartenenza ad un gruppo imprenditoriale unitario è solo la premessa per individuare uno specifico e concreto vantaggio per la società che compie l'atto di disposizione patrimoniale. In altri termini, il difetto di tipicità della condotta non può in alcun modo derivare dal mero sacrificio imposto al patrimonio di una componente del gruppo al fine di assicurare la continuità di quest'ultimo o di altre sue componenti, a meno che non si dimostri che tale risultato si sia tradotto o sia fondatamente destinato a tradursi concretamente (e non solo in termini astratti) in un vantaggio, ancorchè indiretto, in grado quantomeno di corrispondere il suddetto sacrificio. Non è infatti in discussione che la valutazione sulla tipicità del fatto riguardi non solo i vantaggi effettivamente conseguiti, ma altresì quelli che al momento della consumazione della condotta che ha posto in pericolo la garanzia patrimoniale è fondato ritenere possano derivare alla fallita. Ma tale prevedibilità, proprio in ragione dell'autonomia soggettiva e patrimoniale delle diverse società appartenenti al gruppo e della specifica oggettività giuridica delle fattispecie di bancarotta patrimoniale, deve basarsi su elementi certi e concreti. E' poi altrettanto costante l'insegnamento della Suprema Corte per cui grava su chi invochi l'applicazione dell'art. 2634 comma 3 c.c. dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi per la società apparentemente danneggiata. Venendo al caso di specie, i presunti e potenziali vantaggi compensativi ipotizzati e non considerati dal giudice dell'appello si identificherebbero in null'altro se non che in un non meglio definito interesse collettivo del gruppo o addirittura delle sole Cecchi Gori Cinema e Spettacolo e della Cecchi Gori Holding, senza che in alcun modo venga precisato dal ricorrente quali sarebbero le effettive ricadute positive prevedibili idonee a compensare le lesioni imposte al patrimonio della fallita. Prospettazione che rivela di per sé come le doglianze avanzate si rivelino in palese contrasto con i principi sopra ricordati ed invece correttamente applicati dalla Corte territoriale. Ne consegue il rigetto del ricorso.

Bancarotta fraudolenta se l’operazione di diminuzione patrimoniale non porta alcuna utilità

Il reato resta escluso se i benefici indiretti per la società fallita si dimostrino idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente sfavorevoli

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