Una domanda che molte volte viene posta e la cui risposta richiede una attenta analisi alla luce della complessità della materia, è quella che riguarda la possibilità che un soggetto, che ricopre la carica di amministratore di società, intrattenga al contempo, con l’ente gestito, un ulteriore rapporto di lavoro. Il tema è sempre di stretta attualità e il problema della compatibilità delle cariche societarie, soprattutto con la qualifica di lavoratore subordinato presso la medesima società, si presenta di particolare rilievo pratico, in quanto è frequente, nella realtà d’impresa, il cumulo tra le cariche di amministratore e di dipendente. In assenza di un’espressa preclusione legislativa alla cumulabilità delle due posizioni, presente invece con riferimento alla carica di sindaco (art. 2399, c.c.), l’opinione ormai consolidata in dottrina e in giurisprudenza ammette, in linea di principio, il cumulo in capo ai medesimi soggetti del rapporto di amministrazione e di un distinto e “parallelo” rapporto di lavoro subordinato. Amministratore e lavoratore subordinato Sul tema, la giurisprudenza, nel corso degli anni, ha avuto cura di precisare che “la qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima qualora sia accertato in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l’assoggettamento a effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare” (Cassazione civile, sezione lavoro, 25 maggio 1991, n. 5944; conformi le sentenze n. 1793 del 7 marzo 1996, n. 5418 del 13 giugno 1996 e n. 894 del 29 gennaio 1998). La cumulabilità della qualifica di lavoratore subordinato e della carica di amministratore è quindi subordinata alla sussistenza dei seguenti requisiti, la cui presenza va verificata caso per caso onde accertare l’effettiva esistenza degli elementi propri del lavoro subordinato: 1. svolgimento, contro retribuzione, accanto all’attività propria dell’amministratore, di mansioni estranee alle funzioni inerenti tale rapporto e riconducibili, invece, all’attività subordinata; 2. sottoposizione a un effettivo potere gerarchico esterno di controllo, di direzione e disciplinare da parte di un altro organo sociale; 3. l’amministratore non detenga tutti i poteri di direzione e amministrazione della società e quindi la volontà della società stessa possa essere determinata e validamente espressa anche da altri amministratori, anche in contrasto con la sua volontà; 4. l’amministratore sia effettivamente e pienamente assoggettato al potere direttivo ed al controllo di un organo sociale sostanzialmente indipendente da esso. Di fatto, con un’ampia disamina, la giurisprudenza ha assunto alcuni criteri per stabilire la compatibilità di una prestazione di lavoro subordinato con la qualifica di amministratore (ancorché socio), sinteticamente così riassumibili: 1. l’amministratore non deve incarnare nella sua funzione tutti i poteri di rappresentanza, direzione, comando o controllo (essendo, pertanto, impossibile una qualsiasi auto-subordinazione a se stesso); 2. vi deve essere in particolare un soggetto (o un organismo) che costituisce e gestisce il rapporto dell’amministratore-prestatore e ne esercita il controllo; 3. l’attività subordinata non deve coincidere con le mansioni di amministratore (escludendo, peraltro, che la prestazione lavorativa non sia resa in qualità di socio d’opera); 4. non vi devono essere poteri comunque incompatibili con una posizione di dipendenza (ad esempio, poteri di straordinaria amministrazione o di totale ed incondizionata amministrazione ordinaria). Pertanto, nell’ipotesi in cui l’organo amministrativo della società sia costituito da un consiglio di amministrazione, secondo l’orientamento dominante, il “semplice” componente del consiglio di amministrazione – e cioè l’amministratore non investito di particolari deleghe – può essere al contempo un dipendente della società, avendo quale organo sovraordinato di direzione il consiglio di amministrazione di cui pure fa parte. Amministratore unico - Presidente del CdA e lavoratore subordinato Sulla base dei principi sopra enunciati, la giurisprudenza ha escluso la compatibilità del rapporto di lavoro subordinato con la carica e le funzioni di amministratore unico, perché in tal caso è inconcepibile la soggezione a un potere esterno di controllo da parte di altro organo societario sovraordinato, costituendo l’amministratore unico il vertice unico e supremo della società e, in quanto tale, operando in piena autonomia senza alcun vincolo di subordinazione gerarchica (Cassazione, sezioni unite, 3 aprile 1989, n. 1589 e, da ultimo, Cassazione 29 maggio 1998, n. 5352 e Cassazione 10 febbraio 2000, n. 1490). Assimilabile alla figura dell’amministratore unico, e quindi incompatibile, è quella del presidente “plenipotenziario” del CdA (diverso, invece, se il presidente è soggetto alle decisioni del CdA e ne è solamente “espressione esterna”) o dell’Amministratore delegato (o dell’Amministratore disgiunto) con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione: se gli stessi risultano svincolati da qualsiasi forma di controllo diretto della propria prestazione, e dalla conseguente limitazione di potere, il rapporto subordinato andrà escluso. Indicazioni INPS Con riferimento alla posizione di amministratore, l’INPS ammette la cumulabilità con il rapporto di lavoro subordinato, fermo restando che occorre verificare se i poteri dell’amministratore non travalichino il limite e siano tali da fare venire meno il vincolo di subordinazione. Con il messaggio n. 3359/2019, l’Istituto ha fissato i criteri di compatibilità della titolarità di cariche sociali nell’ambito di società di capitali e lo svolgimento di attività di lavoro subordinato per la stessa società. In particolare, l’Istituto ha voluto fornire chiarimenti recependo l’orientamento giurisprudenziale più recente sulla cumulabilità tra cariche societarie e lavoro dipendente, con riferimento alle figure del socio e dell’amministratore unico, del presidente del Consiglio di amministrazione e dell’amministratore delegato. Nel messaggio, l’INPS interviene in ordine alla compatibilità tra la titolarità di cariche sociali e l’instaurazione, tra la società e la persona fisica che l’amministra, di un autonomo e diverso rapporto di lavoro subordinato. Secondo l’Istituto: - la carica di membro o anche presidente del consiglio di amministrazione di una società, poiché sottoposta alle direttive, alle decisioni e al controllo dell’organo collegiale, non è incompatibile con l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente presso la medesima persona giuridica; - l’amministratore unico della società, invece, è detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina; - nel caso dell’amministratore delegato, la portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione a tale organo è rilevante ai fini dell’ammissibilità o meno della coesistenza della carica con quella di lavoratore dipendente. La configurabilità del rapporto di lavoro subordinato è, inoltre, da escludere con riferimento all’unico socio, giacché la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di una sola persona esclude l’effettiva soggezione del socio unico alle direttive di un organo societario. Caratteri tipici della subordinazione Una volta stabilita l’astratta possibilità di instaurazione, tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, di un autonomo e parallelo diverso rapporto che può assumere le caratteristiche del lavoro subordinato, dovrà accertarsi in concreto l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico e che tali attività siano contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione. Ai fini dell’accertamento del rapporto di lavoro dipendente, si terrà conto della sussistenza anche di altri elementi sintomatici della subordinazione, quali: - la periodicità e la predeterminazione della retribuzione; - l’osservanza di un orario contrattuale di lavoro; - l’inquadramento all’interno di una specifica organizzazione aziendale; - l’assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale; - l’assenza di rischio in capo al lavoratore; - la distinzione tra importi corrisposti a titolo di retribuzione da quelli derivanti da proventi societari, etc. Disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato: conseguenze previdenziali Nei casi quali quelli sopra prospettati, in sostanza, l’INPS potrebbe arrivare a disconoscere l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e, quindi, il diritto alla percezione della pensione al lavoratore che esercitasse attività di amministratore tale da essere incompatibile con il vincolo di subordinazione. In tale situazione, l’amministratore avrà diritto al rimborso dei contributi versati come lavoratore subordinato maggiorato degli interessi, ma non alla percezione del trattamento pensionistico.