Il 1° febbraio 2019 entrerà in vigore il nuovo accordo di partenariato economico (Ape) tra Ue e Giappone con il quale verrà liberalizzata l’esportazione e ridotti i dazi sul 99% delle merci movimentate. Si tratta dell’ultima frontiera della politica di apertura commerciale recentemente accelerata dall’Ue, impegnata nell’individuazione di nuovi spazi commerciali dopo la chiusura degli Usa e le recenti vicende Brexit. Anche dal punto di vista tecnico, l’accordo si presenta particolarmente innovativo, soprattutto sul lato doganale e della determinazione e certificazione dell’origine preferenziale dei prodotti, oggetto di apposito assessment non solo in fase di export, ma anche, in alternativa, in fase di import. Di queste novità ha dato notizia l’agenzia delle Dogane, con la circolare n. 1/D/2019. Ad ogni modo, è bene anzitutto rilevare che il quadro doganale generale si presenta in linea con gli accordi di libero scambio recentemente sottoscritti o trattati dall’Ue (ad esempio Corea del Sud o Canada): solo le merci di origine preferenziale Ue possono essere spedite in Giappone liberamente e non essere gravate da dazio, e lo stesso vale per le merci originarie del Giappone, qui importate. Ciò significa che, per essere oggetto di free trade, le merci devono essere interamente ottenute in uno dei due sistemi doganali, oppure esse lì sufficientemente lavorate. In altre parole, in questo secondo caso, le merci devono soddisfare la regola speciale applicabile al singolo prodotto, che si realizza in genere con: 1) la modifica della regola di classificazione tariffaria tra materie prime e prodotto finito; 2) l’accertamento di materiali non originari in misura non superiore a soglie di valore; 3) la realizzazione di una specifica fase produttiva. Per quanto riguarda le prove documentali che attestano il carattere originario di un prodotto che ha superato il vaglio di merito delle regole applicabili sopra illustrate, si registrano invece importanti novità. Sparendo ancora una volta il certificato cartaceo Eur 1, ormai giustamente superato dagli Ape di nuova generazione, si rileva che le prove di origine che certificano la preferenza applicabile si riconducono ora a due ipotesi, una tradizionale ed una estremamente innovativa. La richiesta di riconoscimento del trattamento tariffario preferenziale su prodotti originari si basa ora, unicamente, su: a) una attestazione di origine emessa dall’esportatore per una o più spedizioni di prodotti identici in un determinato periodo di tempo, non superiore comunque a 12 mesi; b) la conoscenza del carattere originario del prodotto da parte del soggetto importatore («conoscenza dell’importatore»). Nel primo caso, è dunque stabilito che gli operatori nazionali e Ue che intendono effettuare operazioni di esportazione entro l’ambito Ape, per un valore superiore a 6mila euro, devono essere registrati al sistema Rex ai fini della emissione delle relative attestazioni di origine. In sostanza, con la registrazione Rex gli operatori sono legittimati ad apporre in fattura o altro documento commerciale una dichiarazione, anche di lungo periodo, che certifichi il carattere preferenziale delle merci che, a destino, non pagheranno dazio. Nel secondo caso, quello più innovativo, in alternativa al Rex è consentito all’importatore di richiedere una preferenza utilizzando semplicemente la propria conoscenza dello stato di origine dei prodotti importati, conoscenza che si basa a sua volta su informazioni contenute nella documentazione giustificativa fornita dal soggetto esportatore o dal soggetto produttore. L’esportatore in questo caso dovrà rendere al suo acquirente tutte le informazioni occorrenti a dimostrazione del carattere originario delle merci in quanto si assume una particolare vigilanza in materia da parte delle Dogane Ue ed una maggiore responsabilizzazione degli importatori.