La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23357 del 19 settembre 2019, ha ribadito che per procedere ad un accertamento induttivo, non è sufficiente un semplice scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli fondamentalmente desumibili in base agli studi di settore. E’, infatti, necessaria una grave incongruenza, che deve essere valutata dal giudice nel caso concreto. IL FATTO L’Ufficio notificava ad una Srl un avviso di accertamento ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, contestando maggiori ricavi sulla base degli studi di settore. A seguito del contraddittorio endoprocedimentale con la contribuente gli importi ipotizzati inizialmente venivano comunque quasi dimezzati, ma nonostante ciò si arrivava all’instaurazione del contenzioso. La CTP accoglieva totalmente il ricorso presentato ma la CTR riteneva fondato l’appello dell’Ufficio. In particolare, secondo i giudici di secondo grado, la società non aveva fornito idonea prova contraria alle risultanze dello studio di settore applicato dai verificatori. La decisione, inoltre, rilevava la palese antieconomicità della gestione imprenditoriale relativa ad alcuni anni consecutivi. La società impugnava la sentenza della CTR, sostenendo che le sole risultanze degli studi di settore non potessero fondare un accertamento induttivo e comunque quest’ultimo era illegittimo per l’assenza del “grave scostamento” necessario per la sua applicazione. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente cassando con rinvio la sentenza d’appello. Preliminarmente non è stata ritenuta condivisibile la doglianza sull’insufficienza degli studi di settore per sorreggere la ricostruzione dei ricavi operata dall’Ufficio. Infatti, come da tempo precisato dalle SS.UU. (n. 26635/2009), l’accertamento standardizzato costituisce un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente. In tale sede quest’ultimo ha l’onere di provare la propria esclusione dall’applicazione dei parametri predeterminati. Nella specie il contraddittorio era stato posto in essere, tanto che l’Ufficio aveva notevolmente ridotto l’originaria pretesa basata solo sull’applicazione del relativo studio di settore. Spetta quindi al giudice valutare gli elementi a base della tesi erariale e quelli offerti dal contribuente, al fine di decidere sulla legittimità della pretesa dell’Ufficio. Corretta è stata invece ritenuta la doglianza relativa alla mancata valutazione da parte della CTR della sussistenza del grave scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli accertati, atteso che secondo la Srl era pari al solo 5,68%. Infatti, l’Amministrazione non è legittimata a procedere all’accertamento induttivo se si verifica uno scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondamentalmente desumibili dagli studi di settore. E’ infatti necessaria una grave incongruenza, che nella specie non è stata in alcun modo valutata dai giudici di appello. A tal proposito rimaneva del tutto irrilevante il solo riferimento all’apparente antieconomicità della gestione dell’impresa, atteso che non era un elemento che costituiva parte della motivazione contenuta nell’avviso di accertamento, che di certo non poteva essere integrata successivamente. In conclusione, la CTR, in diversa composizione, dovrà valutare la sussistenza o meno del carattere della gravità dell’incongruenza riscontrata nel caso concreto.